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Stragi e orrori nel 2023, ma c’è ancora domani per le donne

Ucraina e Gaza: un anno di guerre atroci. In Italia scoppia, grazie anche a un film, la rivolta per femminicidi e violenze

C’è ancora domani. È il titolo del film di Paola Cortellesi che diventa il simbolo dello sdegno e della condanna per i femminicidi e le violenze sulle donne. È quasi un’epigrafe che invita a dimenticare, a guardare oltre, nella speranza che il domani sia migliore. Eppure il 2023, per quanto grondi dolore e ansia, è in qualche modo coerente con i tempi che l’hanno preceduto, fatti di pandemie e di guerre, almeno in apparenza inarrestabili e sempre più vicine. Non ci sono a prima vista, almeno fine alla fine di dicembre, elementi di conforto: nella striscia di Gaza si contano a migliaia i bambini uccisi; nella memoria restano tante minuscole bare bianche allineate che contengono i resti delle piccole vittime del naufragio di Cutro, uno degli annegamenti di massa nel Mediterraneo; tra russi e ucraini la mattanza continua e le vittime, a quasi due anni dall’inizio della guerra, si misurano ormai in centinaia di migliaia. Nelle città, compresa Palermo, esplode una microcriminalità senza scrupoli e le giovani generazioni sono coinvolte in una malamovida violenta.

Nessuno sfugge alla cappa di dolore, di ansia, di angoscia che domina il nostro tempo. Riflettere sui mesi alle nostre spalle si scontra con argomenti crudeli. Nel 2023 sembrano essersi moltiplicati i delitti che hanno avuto donne come vittime. “Femminicidio” è l’orrenda parola sotto cui si è cercato di inglobare una strage di genere, in cui i singoli drammi sono accomunati solo dalla ferocia degli assassini. Marisa Leo, Giulia Cecchettin: sono solo i casi più noti di un magma che mostra una società italiana ancora maschilista e patriarcale pure nella mentalità dei giovanissimi.
Poi ci sono state le tragedie localizzate, più o meno vaste, disseminate per il mondo. In Italia, più di ogni altra regione, è stata colpita la Sicilia con incendi devastanti, il picco a luglio, ma anche agosto e settembre hanno portato morte e devastazioni, il record di sempre delle temperature. L’Emilia-Romagna è finita sott’acqua così come la Toscana: le immagini che trovate in queste pagine simboleggiano la perdita del proprio passato, delle proprie cose a partire dalla casa, il dolore degli addii.

Così appaiono una partecipata manifestazione popolare in giugno i funerali di Stato a Milano di Silvio Berlusconi, uno degli uomini che in diversi modi ha più inciso sugli ultimi decenni di storia italiana. E certo solenne è stata la sacra rappresentazione dell’incoronazione di Carlo e di Camilla: grandiosa, retorica, eccessiva, medievale ma fastosa, impressionante e coinvolgente per uomini e donne che cercano di sfuggire ai fantasmi della cronaca per rifugiarsi nella fiaba.

Siamo così immersi ogni giorno in un flusso apparentemente infinito di storie e immagini dolorose provenienti da tutto il mondo. Dal 2020 abbiamo perso oltre 3 milioni di persone a causa della pandemia di Cocid-19, e ci ricordiamo la fila dei camion dell'esercito a Bergamo, assistiamo all’invasione russa dell’Ucraina, leggiamo la storia della nuova martire iraniana di appena 16 anni Armita Geravand picchiata a morte nella metro di Teheran dalla polizia morale perchè si era tolta il velo. E ora dal 7 ottobre, ci sentiamo impotenti assistendo alla tragica perdita di migliaia di vite civili innocenti in Israele e a Gaza.

Eppure non può essere solo la paura e l’ansia il lascito di questo 2023 che ha fatto segnare la ripresa dalla pandemia, un rilancio in Italia dell’economia e dell’occupazione. La rinascita del turismo (per quanto in Sicilia azzoppato dalla chiusura per incendio di Fontanarossa). Le parole di Papa Francesco e del Presidente Sergio Mattarella spesso sono state di conforto e di stimolo per tutti. Due simboli di lucida resilienza alla crisi. «Non c’è peggior nemico di cui aver paura della paura stessa», diceva Winston Churchill nella bufera della Guerra Mondiale. Noi, più modestamente, consegniamo al 2024 il titolo di un film e una speranza: c’è ancora domani.

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