La rivoluzione dell’Europa per destituire le Big Tech dal loro strapotere sul mondo digitale è completa. Una maratona negoziale di quasi sedici ore tra le istituzioni comunitarie ha consegnato al Vecchio Continente, nel cuore della notte tra venerdì e sabato, un nuovo manuale di regole che i giganti come Google, Amazon, Facebook e Apple dovranno seguire per supervisionare i contenuti online, assumersi la responsabilità di ciò che circola sulle loro piattaforme, e proteggere gli utenti. Il testo prende il nome di Digital Services Act (Dsa) e l’accordo politico è, nella sintesi della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, «storico». E lo è per molti motivi. A partire dall’ambizione di voler diventare l’avanguardia mondiale per contrastare gli abusi su Internet ben oltre i confini europei. Consacrando il principio che «ciò che è illegale offline lo deve essere anche onlinE», le nuove misure aggiornano la direttiva comunitaria sull'e-commerce datata 2000, quando le Big Tech erano ancora allo stato embrionale. E le costringono a vigilare sui contenuti in modo più attivo. Vale a dire rimuovendo «prontamente» tutto ciò che è illegale o nocivo non appena ne vengono a conoscenza. Un precetto valido anche per i canali di vendita online, che dovranno verificare l’eventuale presenza di prodotti contraffatti e l’identità dei venditori. Questo, ha ammonito la vicepresidente dell’esecutivo Ue, Margrethe Vestager, perché le piattaforme devono essere ritenute «responsabili dei rischi che i loro servizi possono comportare per la società e per i cittadini». Tra le novità. è previsto anche uno stop alle pubblicità mirate sui minori, alla profilazione degli utenti in base a religione, sesso o preferenze sessuali, e alle tecniche manipolative come i modelli oscuri che costringono le persone a fare clic sui contenuti. I divieti sono poi accompagnati da precisi obblighi di trasparenza e di tutela dei diritti fondamentali (pluralismo dei media compreso) che trovano ancora più legittimazione in tempo di Covid e di guerra in Ucraina. Tutte le grandi aziende del tech con oltre 45 milioni di utenti nell’Ue saranno costrette a rivelare alle autorità europee come affrontano la disinformazione e la propaganda. E, ancora, ad aprire i propri algoritmi e a disporre di personale adeguato per gestire la moderazione dei contenuti, anche considerando che gli utenti avranno il diritto di presentare reclami (e dare vita a vere e proprie class action) nella propria lingua. A far rispettare le regole ci penserà la Commissione europea, che è già al lavoro per rinforzare il suo organico. Le multinazionali che non seguiranno i dettami rischiano multe fino al 6% del loro giro d’affari annuo globale o di incappare nel divieto di operare sul suolo europeo. Sanzioni pesanti, in linea con quelle già licenziate dall’Ue lo scorso 24 marzo con il via libera al pacchetto gemello Dma (Digital Markets Act) per combattere pratiche di mercato sleali e distorsioni della concorrenza da parte delle Big Tech. Così, è l’avvertimento del commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, la stretta è completa e nessuno potrà più pensare di essere «too big to care», troppo grande per preoccuparsi delle conseguenze delle sue condotte. Un messaggio chiaro soprattutto per la Silicon Valley - che ora ha quindici mesi di tempo per adeguarsi -, e che von der Leyen ha definito «forte» per i «Paesi in tutto il mondo». Al punto da meritare il plauso di Barack Obama, più avvezzo a tutelare i giganti del web a stelle e strisce nei suoi anni di presidenza. «Le nuove leggi dell’Ue per regolamentare gli abusi che si vedono nelle Big Tech sono tra le più radicali degli ultimi anni», ha osservato l’ex inquilino della Casa Bianca. E, sebbene l’approccio potrebbe non essere il più idoneo per gli Stati Uniti, ora è l’Europa a indicare la via da seguire.