Tanta commozione, gli applausi della folla, all’entrata e all’uscita del feretro, gli omaggi di amici come Giancarlo Giannini e Caterina D’Amico, ma anche lo humour della regista, evocato con il racconto di aneddoti sul set da parte del nipote Massimo Wertmuller e di Rita Pavone. Sono fra i tratti che hanno delineato i funerali, alla Chiesa degli Artisti a Roma, di Lina Wertmuller, la grande cineasta scomparsa il 9 dicembre, nella capitale, a 93 anni. Un ultimo saluto al quale hanno partecipato, fra gli altri, anche Giuliana De Sio, Domenico De Masi, Yari Gugliucci (che considerava la regista come una seconda madre), Marina Cicogna (“Abbiamo fatto insieme film come Mimì metallurgico e Storia d’amore e d’anarchia. È sempre stata nella mia vita - ha detto la produttrice -. Era una delle persone più divertenti, leggere, intelligenti, più piacevoli che abbia mai conosciuto”), Cinzia Th Torrini, Elisabetta Villaggio, figlia di Paolo, Leopoldo Mastelloni, Duilio Giammaria.
Per tutta la vita ha conservato l'anima di scugnizza
La figlia adottiva della regista, Maria Zulima Job, visibilmente commossa, è arrivata tenendosi per mano con il compagno Alessandro e circondata dai famigliari e dagli amici più stretti. «Lina è stata un’artista libera, ha portato avanti la sua visione del mondo e delle cose. Ha conservato per tutta la vita l’anima di scugnizza, di bambina ribelle, con il suo estro e la sua curiosità», ha sottolineato nell’omelia don Walter Insero, rettore della Chiesa degli Artisti e amico personale della cineasta. Tra i tanti successi della regista, il monsignore ne ha ricordato anche uno poco conosciuto: «E’ stata con Sergio Corbucci campionessa romana di Boogie-woogie negli anni 50... comunicava gioia di vivere». Insero l’ha conosciuta 10 anni fa: «Ho visto una donna semplice e sinceramente umile. Non badava ai premi, li accoglieva. Ha sempre voluto raccontare la gente comune» e si è messa «dalla parte degli umili». La vita, «mi diceva, dura una mezz’oretta non possiamo sprecarla piangendoci addosso, va vissuta nell’amorè». Una personalità che il rettore della Chiesa degli Artisti ha sintetizzato nella frase con cui si chiude Otto e mezzo di Fellini e si apre l’autobiografia della cineasta: «La vita è una festa, viviamola insieme».
L'0maggio di amici e colleghi
Dopo la messa, è stato l’amico Domenico De Masi a introdurre gli omaggi di Caterina D’Amico (che ha condiviso con lei anche il periodo di Lina Wertmuller come commissario straordinario al Centro Sperimentale di Cinematografia, dal 1988 al 1993, nel quale ha scardinato «coniugando anarchia e disciplina», le rigidezze di «un’istituzione che allora sembrava un distaccamento dell’Inps”); Antonio Petruzzi, attore nel primo film di Lina Wertmuller, I basilischi; Giancarlo Giannini, Rita Pavone e Massimo Wertmuller. «Da una parte piango mia zia, che si porta via tutti i miei ricordi belli di famiglia. Poi si piange il genio che ho avuto la fortuna di avere dentro casa», ha sottolineato il nipote della regista, che ha anche rievocato il modo deciso e il linguaggio a volte colorito utilizzato della cineasta sul set. «Io cara Lina avrei voluto avere anche una cellula sola con l’occhialetto bianco, non è andata così. Oggi per me e Maria si apre una voragine che non si colmerà».
Il ricordo di Giancarlo Giannini
Giancarlo Giannini ha ricordato un’amicizia lunga 60 anni: «Con lei ho fatto i miei film più belli, mi ha forgiato, sono stato il suo pongo, senza di lei avrei continuato a fare il perito elettronico» ha spiegato l’attore, salito sul presbiterio tenendo stretta una commossa Rita Pavone. A conclusione del suo intervento anche i versi di una poesia amata dalla regista, La goccia, «che voglio leggere come un regalo da parte del suo grande amore Enrico Job». Rita Pavone ha definito Lina Wertmuller «la mia mamma artistica. Mi ha portato a fare cose che mai avrei pensato di poter fare. Era frizzante e spumeggiante con un carattere che adoravo».