«Avevo paura, adesso no, sono uscito da quel labirinto». Lo spiega, tornando nei luoghi di Nuovo Cinema Paradiso, il film Premio Oscar di Giuseppe Tornatore del quale è stato protagonista da bambino, Salvatore Totò Casciò che si apre sulla sfida più difficile affrontata sin da quando aveva 12 anni, essere affetto da una forma di retinite pigmentosa, nel corto A occhi aperti di Mauro Mancini (Non odiare), realizzato da Movimento Film e Rai Cinema per Fondazione Telethon, in onda su Rai1 e disponibile su RaiPlay dal 12 dicembre.
L'attore vede solo fasci di luce
Con retinite pigmentosa (alla quale Fondazione Telethon dedica 23 progetti di ricerca con oltre 5,5 milioni di euro di investimento, ndr ), si intende un gruppo di malattie ereditarie della retina che provocano perdita progressiva della vista fino ad arrivare, nei casi più gravi, alla cecità totale. Cascio è affetto da una forma della malattia con edema maculare, e ora vede «solo le luci o un flusso di luci al centro dell’occhio» spiega prima nel documentario e poi rispondendo ai giornalisti in conferenza stampa in streaming.
Per anni si è nascosto
Da bambino «è stata una batosta per me, per i miei genitori e i miei fratelli, il più grande dei quali è affetto da retinite pigmentosa come me - aggiunge -. Per anni non ne parlavo, mi nascondevo, non dicevo mai la verità a chi mi chiedeva perché non avessi più fatto l’attore. La via d’uscita da quel labirinto la trovi quando non ti vergogni più, quando accetti quella che io chiamo ‘"la mia condizione"». Dopo aver visto il corto Cascio si sente «commosso e felice, «Mauro è stato straordinario, avevo bisogno di far incontrare il Totò bambino di Nuovo Cinema Paradiso con il Totò adulto. Ci ho lavorato e pensato molto, ho fatto un mio percorso di consapevolezza. Ne avevo bisogno». Mauro Mancini è qui al suo quinto progetto per Rai Cinema e Telethon, «un impegno, quello con la «Fondazione per promuovere la ricerca, che va avanti da 16 anni ricorda l’Ad di Rai Cinema Paolo Del Brocco. «Lavorare con Totò, una persona straordinaria, sul tema dell’accettazione - dice Mauro Mancini - e farlo attraverso un gioco di rimandi tornando insieme nei luoghi di un film fondamentale come Nuovo cinema Paradiso è stato un privilegio e molto emozionante».
«La gloria si vede nel momento della prova»
Da tanto «nella mia mente risuonavano le parole gloria e prova. Siamo tutti bravi ad accettare successo e fama, ma il vero uomo si vede nella prova - sottolinea Cascio -. In questo corto c’è la forza e spontaneità che ho ritrovato. Per me è un punto di ripartenza». Un percorso sul quale un anno fa si è aperto per la prima volta anche con Giuseppe Tornatore, in una telefonata che Cascio definisce come «il ritrovarsi di due vecchi amici che non si sentivano da tanto tempo». Un dialogo che nel corto viene raccontato anche dal cineasta: «Ho capito che Totò voleva parlarmene per liberarsi, voleva condividere come fosse riuscito a superare quel tormento per accettare la sua nuova condizione. Mi sono reso conto che era diventato un uomo, non era più il bambino di Nuovo cinema paradiso». Nella vita di tutti i giorni «sono abbastanza autonomo, ad esempio adesso sono a Bologna - aggiunge Cascio - Ci sono tante cose che non posso fare ma ora ci vivo ora bene, apprezzo la vita per quello che mi dà. Non è semplice, ma si può fare». Una strada raccontata anche in un’autobiografia di prossima pubblicazione (Tornatore mi farà il regalo della prefazione”), che lo fa sentire pronto anche per un possibile ritorno a recitare: «Mi piacerebbe tantissimo, voglio condividere la mia storia, perché tutti coloro che hanno condiviso con me il racconto della loro disabilità sono stati miei miti. Penso ad Andrea Bocelli, Alex Zanardi, Annalisa Minetti, Bebe Vio... mi piacerebbe essere testimonial per chi ha bisogno» anche per parlare «dell’importanza fondamentale» della ricerca. «Le parole di Totò Cascio per noi sono uno straordinario regalo - dice Francesca Pasinelli, Direttore Generale di Fondazione Telethon -. Rendono ancora più evidenti la ragione per cui siamo qui, rendere concreta la possibilità di avere delle cure per le malattie genetiche».
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