Correva l'estate, calda, del 1991 e il mondo del rock, per tanti che già l'avevano abbracciato, era pronto ad una rivoluzione. Una rivoluzione per chi aveva giurato contro il 'pop' ma che non voleva nemmeno essere 'grunge', così come per quelli che arrivavano dal glam rock del decennio prima che andava via via perdendo di energia e, a forza di cotonature di capelli e festini nel Sunset Strip, anche un po' di credibilità. Tutti si erano divertiti con i Motley Crue e tutti continuavano a ballare con i Van Halen, ma qualcosa, nel rock, stava cambiando. In sostanza, gli anni Ottanta non erano ancora finiti e i Novanta, quelli del 'grunge' che avrebbe fatto piazza pulita, non ancora cominciati. Quello che segnò l'estate del 1991 e in particolare il mese di settembre di quell'anno, fu l'uscita in quasi contemporanea di una serie di album epocali che assicurava al rock, o all'alt-rock, un'altro decennio di gloria. Settembre 1991 è stato 'il' mese dell'anno per gli amanti delle chitarre elettriche suonate in un certo modo, ma il vento aveva cominciato a soffiare già ad agosto, quando a Los Angeles una band chiamata Metallica aveva deciso di diventare una delle più grandi al mondo. Per farlo, James Hetfield e soci avevano deciso di lavorare con il produttore Bob Rock, per arrivare a pubblicare, il 12 agosto, quello passato alla storia come 'Black Album', quello di 'Enter Sandman', 'Sad But True' e della ballata 'Nothing Else Matters'. Solo poco più di un mese dopo, un'altra band di Los Angeles scendeva in campo per candidarsi ad essere il gruppo più famoso del mondo, almeno per qualche tempo. I Guns'n'Roses venivano dal successo con il debutto 'Appetite for distruction', che rispetto ai due album 'Use your illusioni I e II', entrambi pubblicati 17 settembre, era stato solo un piccolissimo assaggio. Altra giornata storica, per tutti quelli che (compreso me) vista l'aria che tirava, avevano deciso di passare il tempo davanti al negozio di fiducia in attesa che il commesso uscisse a dire qualcosa del tipo "è arrivato qualcosa che ti piacerà", è stata quella del 24 settembre. Tre nomi di band e altrettanti titoli di album destinati segnare un'epoca, o almeno un decennio. Soundgarden con 'Badmotorfinger', Nirvana con 'Nevermind' e i Red Hot Chili Peppers che davano alle stampe 'Blood Sugar Sex Magic'. I Soungarden dell'incredibile voce di Chris Cornell erano grunge, ma il terzo disco li portava sfacciatamente all'hard rock, tanto che alcuni parlarono di 'White Album dell'heavy Metal'. Su 'Nervermind' c'è poco da dire ancora, se non ricordare che fu il disco che cambiò il mondo del rock. I RHCP arrivavano da un periodo più che complicato (tra vicende di eroina, disintossicazioni e defezioni), ma con Rick Rubin trovarono una 'nuova' strada giusta. Funk rock, funk metal, quello di 'Breaking the girl' ma anche quello di 'Give it away' o della immortale 'Under the bridge'. Pochi giorni prima era stata la volta di 'No more tears' con un rinato Ozzy Osbourne, di 'Preatty on the inside' delle Hole capitanate da Courtney Love, ma nei negozi di dischi (compreso il mio nella provincia milanese di allora), erano arrivati anche i Kyuss di 'Wretch', i Rush che dopo tanta strada macinata erano tornati in scena con il monumentale 'Roll the bones' e un'altra manciata di solidissime sicurezze per chi cercava una svolta, un suono e una serie di riff di chitarra ai quali dichiarare amore eterno. Finché pop-rock non ci separi.