"A causa della crisi sono costretto a chiudere il mio locale, ma vorrei fosse chiaro che non ne ho fatto un dramma, anzi. C'è una pandemia che ha sconvolto l’economia mondiale. Ho agito con determinazione, lucidità e un pizzico di tristezza perchè ovviamente questo ristorante l’avevo realizzato e curato in ogni suo aspetto e purtroppo non posso più averlo". Di certo non si lascia prendere dallo sconforto lo chef Filippo La Mantia che ha deciso di chiudere il noto ristorante milanese di piazza Risorgimento. Una scelta sofferta ma obbligata: se da maggio le spese sono rimaste invariate le entrate, tuttavia, si sono assottigliate con perdite degli incassi del 40-45%, al punto da spingerlo a una scelta dolorosa. "Ho inaugurato il mio locale ad aprile del 2015 e sino a febbraio del 2020 il ristorante era in funzione - racconta -, ma le difficoltà, paradossalmente, sono iniziate con la fine del lockdown. Perchè con una sala di 1800 metri quadrati e un affitto di 28 mila euro al mese, un locale del genere non può basarsi esclusivamente sull'incasso netto del ristorante. Ci sono tante altre attività collegate alla ristorazione che rendono sana un’azienda di questo tipo: grandi eventi, brunch e cene aziendali". Opportunità spazzate via dalla crisi sanitaria che hanno fatto crollare gli incassi. "C'era un mondo fino a febbraio - ribadisce - poi improvvisamente è cessato: eventi esterni e consulenze che si sono dissolte nel nulla. Fortunatamente ad aprile e maggio ho pagato metà affitto, poi basta. Ho trenta dipendenti tutti a busta paga - ricorda - e li ho fatti rientrare dalla cassa integrazione ad aprile. Fino al 31 dicembre sono con me, poi si vedrà". Ma non si tratta di una resa, non è un addio ma un "ridimensionamento": adesso dovrà cercare un locale più piccolo per evitare di abbandonare il sogno che aveva realizzato nel capoluogo lombardo. "Per me non è un dramma - ribadisce -. Potrebbe esserlo se un locale non funziona perchè non lavoriamo bene. Ma fortunamente non è il mio caso". E non ci sta nemmeno a recriminare aiuti da parte dello Stato: "Come ho già detto, nella mia condizione si trovano un milione di persone che hanno bisogno quanto me o più di me: occorre solo rimboccarsi le maniche e ripartire daccapo. A 60 anni io e i miei ragazzi ricominceremo. Il mio progetto si ridimensiona ma rimarrà uguale. Non cambierò una virgola. Quando troverò il posto giusto lo trasformerò secondo le mie esigenze". Ma al locale nuovo al momento non vuole pensare: "Se domani mattina trovassi il locale che mi piace non posso confermarlo fino a marzo, quindi meglio non cercare. Quando i tempi saranno maturi incomincerò a muovermi". Tutto rinviato, quindi, al primo gennaio 2021? "A gennaio, in realtà, smonto tutto e poi dal 1° febbraio consegno le chiavi ma se apro dopo 4 mesi non succede nulla. Però spero di fare un 'traslocò senza interruzione". Una cosa però non è mancata allo chef La Mantia, il sostegno e la solidarietà della clientela: "Avrò ricevuto almeno un migliaio di messaggi scritti da persone che mi hanno trasmesso il loro calore: sono stato circondato da un affetto incredibile. Tutti dicono che questo posto era come una casa per loro, un luogo che è entrato nel cuore della gente", conclude.