La massa di informazioni che arriva senza sosta dai social media rischia di esporre il cervello a una sorta di «pappa sensoriale» indistinta e capace di azzerare ogni capacità critica. E’ la preoccupazione espressa da uno dei massimi esperti di Neuroscienze a livello internazionale, Lamberto Maffei, della Scuola Normale di Pisa, che oggi è intervenuto nell’Adunanza generale solenne dell’Accademia dei Lincei. «Ambiente e cervello» è stato il tema della sua relazione e, poiché il cervello è un organo plastico e che risente moltissimo delle influenze ambientali, è chiaro aspettarsi che l’attuale esplosione dei social media possa avere delle conseguenze sul più complesso degli organi. Il rischio, secondo Maffei, è che i social possano diventare una sorta di «protesi del pensiero». «Non si può sottovalutare - ha rilevato - il rischio che lo sviluppo dei social media moderni, quali Facebook, Twitter e la televisione, diffondendo messaggi uguali a grandi moltitudini di persone, tenda a fare aumentare il cervello collettivo, oltre il grado richiesto per la socialità all’interno della specie. Mangiamo tutti la stessa 'pappa' sensoriale e culturale e sviluppiamo quindi strutture cerebrali simili». Il risultato di questa globalizzazione dei messaggi è che possa influire sulla capacità di prendere decisioni e in un comportamento «sempre più condizionato da una spinta alle decisioni rapide in una corsa che non lascia più tempo per ascoltare, colloquiare e forse neanche per riflettere e pensare». Con la riduzione progressiva della capacità critica, uno dei rischi maggiori è «perdere l’io», in un livellamento delle menti: una scenario che potrebbe suggerire l’immagine di un gregge che risponde collettivamente a messaggi globali, e disposto a «seguire un pastore», inteso come «colui che grida». Il «vero pericolo» indicato da Maffei è che il cervello possa "perdere il suo compito di analizzatore critico e sia plasmato da quei messaggi mediatici pilotati che indicano il consumo come un bene per l’umanità e lasciano credere che uccidere possa essere anche permesso». Sottoposto a una vera e propria bulimia di messaggi, il cervello rischia di trovarsi in una «situazione di disagio» nella quale gli stessi messaggi, ripetuti continuamente, possono diventare «protesi del pensiero». Quanto agli smartphone e ai tablet, principali veicoli dei social, il cervello può finire per stabilire con essi una sorta di simbiosi: perdere questi strumenti, ha osservato Maffei, «è come perdere uno strumento per pensare». La posta in gioco è invece «perdere l’io». Soltanto la scuola, secondo l’esperto, può correre ai ripari: «L'unica contromisura - ha concluso - è ripartire dai giovanissimi» e dalla responsabilità nell’educarli «ai valori della lettura, del pensiero e della scienza».