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Equilibrio e moderazione, i segreti della "Dieta Zona": quando il cibo diventa medicina

Barry Sears, ideatore della "Dieta Zona"

Mangiare poco per vivere di più. Nutrirsi in maniera positiva per ‘rafforzare’ la salute e combattere l’invecchiamento. Perché il cibo giusto (e nella quantità corretta) fa dimagrire, facendoci vivere meglio e più a lungo… A patto di restare in ‘Zona’. Né cura, né terapia e neanche prevenzione: è una dieta antinfiammatoria che allontana il pericolo di infarti, asma, obesità, depressioni, tumori e Alzheimer. È lo stile di vita proposto dal professor Barry Sears, ideatore della ‘Dieta Zona’ (in Europa, i prodotti in sintonia con questi principi vanno sotto il marchio di EnerZona), regime alimentare che mette l’intestino al centro di tutto e che ricerca il mantenimento dell’equilibrio ormonale.

Come un Ippocrate del terzo millennio, quest’americano nato a Long Beach nel 1947, usa il cibo come medicina. In tour scientifico in Italia (con la collaborazione del gruppo Enervit), il famoso biochimico ha incontrato ieri a Santa Flavia medici, farmacisti e addetti ai lavori per un corso intensivo sulla ‘nuova alimentazione’. Autore del recente ‘Positive nutrition’ (ed. Sperling & Kupfer, pp. 264, 18€), insieme con Benvenuto Cestaro e Giovanni Scapagnini, Sears è l’ideatore della ‘Zona’, dieta che riesce a mantenere la produzione di insulina in una ‘zona’ né troppo alta né troppo bassa.

Basata sulla restrizione calorica e su principi di equilibrio e moderazione degli alimenti, ‘Zona’ necessita di (moderata) attività fisica: mobilità articolare e 100 minuti di aerobica a settimana meglio se accompagnate da yoga e meditazione. Sears (oltre quattro milioni di libri venduti) assicura che seguire la ‘Zona’ è facilissimo: servono solo una mana, gli occhi e un orologio. Con questi tre elementi, infatti, si potranno tenere sotto controllo geni e ormoni consentendo all’infiammazione di rimanere stabile.

Nel piatto dovrà esserci spazio solo per una terna da tenere bene a mente: 40-30-30 (percentuali caloriche derivate dai macronutrienti presenti in ogni pasto). Ovvero 40% carboidrati colorati (ricavati da frutta e verdura mentre tutto quello che è di colore bianco fa male), 30% di grassi e il restante 30 di proteine. La quantità da mangiare? Quella che sta nel palmo d’una mano e, per capire se il programma funziona, occhio all’orologio: se tutto è ben bilanciato, nelle successive cinque ore, non si avrà né fame né senso di affaticamento perché la glicemia nel sangue sarà bilanciata. Un regime alimentare da applicare ogni giorno per tutta la vita con pasti (o spuntini) ogni cinque ore. Sani e magri è possibile, dice Sears, a patto di scordarsi pane,

pasta, riso, cereali, insaccati e fritture, patate, carote bollite, piselli, mais, banane, fichi, prugne e bevande contenenti caffeina. In alternativa, ci si potrà rimpinzare (o quasi) di superfood come gli Omega-3 e i polifenoli, gli antiossidanti presenti nel mondo vegetale: un tripudio di maqui, curcuma, alghe, sardine e salmone, cacao e zenzero, orzo, pollo e tacchino, frutti di bosco, carciofi, cipolle, olio extravergine d’oliva, noci e nocciole, tè verde e modiche quantità di vino rosso (meglio se a stomaco pieno per rallentare il tasso d’assorbimento dello zucchero nel sangue) per un apporto giornaliero che oscilla tra le 1200 e le 1500 calorie.

Con la ‘Zona’ di Sears crolla il mito della dieta mediterranea tutta pasta e pomodoro (anche se Sears dice che è “la sua evoluzione”) che l’Unesco ha dichiarato patrimonio orale e immateriale dell’umanità (a ‘scoprirla’ nel 1951 fu il biologo Usa Ancel Keys che aveva studiato l’alimentazione delle popolazioni italiane del Cilento). I benefici della sua Zona sono immediati? “Dopo tre giorni si avverte già mancanza di fame. Dopo quattro, aumenta l’energia fisica, dopo sette entreremo bene nei nostri vestiti e dopo due settimane governeremo meglio lo stress”.

Ma cos’è davvero la Zona? “Un progetto di vita”. Cosa l’ha spinta a idearla? “Mio padre, famoso giocatore di basket, è morto a 53 anni d’infarto. E anche suo padre e suo fratello soffrivano di cardiopatie. Io avevo la stessa predisposizione genetica: naturale che potessi fare la loro stessa fine. Quindi, per aiutare me stesso, ho dato vita alla ‘Zona’ quasi una terapia genetica…”.

E questo quando avviene? “Ho iniziato a pensarci nel 1982 dopo il premio Nobel per la medicina a John Robert Vane e Sune Bergstrom che avevano compreso il ruolo dell’acido arachidonico e degli eicosanoidi nei processi infiammatori”. E poi? “Dopo più di 30 anni di ricerche da quel Nobel, ora ci si è resi conto che è l’equilibrio tra acidi grassi di origine vegetale omega-6 e omega-3 a controllare l’avvio dell’infiammazione: definiti essenziali non possono essere sintetizzati dall’organismo”.

Oltre al cibo giusto, servono integratori alimentari… “Molti hanno solo un effetto placebo. Sono utili, invece, quelli che davvero immettono nell’organismo la giusta quantità di omega 3”. Ma sono così importanti? “A dosi moderate contribuiscono a ridurre l’intensità della risposta infiammatoria iniziale. Il dosaggio elevato fa aumentare la robustezza della fase di risoluzione dell’infiammazione. In tal modo, l’integrazione nella dieta di livelli appropriati di acidi grassi omega-3 ci dà l’opportunità di correggere la causa che sta alla base delle malattie croniche”.

L’uso dev’essere costante? “La sua costanza aiuta a mantenere il corretto equilibrio delle risposte infiammatorie”. Però la Zona 30 anni fa non aveva gli stessi alimenti di oggi... “Tofu, soia e maqui, non sono che la naturale evoluzione basata su nuove informazioni alimentari”. Colazione a base di albumi con mela e frollini al cacao; pranzo con polpettine di ricotta o quinoa alla menta, cena con salmone marinato al lime o cubetti di pollo alla curcuma: sono ammessi strappi alla regola? “Qualche giorno fuori Zona, per una cena o una vacanza, si può: a patto di raddoppiare dopo il tempo della Zona. Ovvero, per ogni giorno che si salta, ne servono due per rimettere a posto gli equilibri”. Quindi dovremo dire addio a panelle e crocché, cannoli e cassate? “Direi di sì, in compenso, si può mangiare la caponata”.

“Definirla dieta è restrittivo e sbagliato: la ‘positive nutrition’ giova per arrivare all’invecchiamento in salute”. Parola di Giovanni Scapagnini, professore associato di Biochimica all’Università del Molise, che ha conosciuto Barry Sears nel 1998, entrando subito in sintonia con lui perché “la gestione della salute è disciplina che attiene allo stile di vita”, dice. Ma è con gli alimenti positivi “che il cibo può cambiare il nostro destino e la dieta diventa il più potente dei farmaci”.

Socio fondatore della Società italiana di nutraceutica, (neologismo sincratico di ‘nutrizione’ e ‘farmaceutica’ coniato nel 1989 da Stephen de Felice), Scapagnini ripercorre quanto sostenuto dall’antica scuola medica salernitana già nel X secolo identificando “nei principi attivi contenuti nel cibo uno dei principali elementi per stare in salute ma c’è anche un secondo aspetto che lancia la nutraceutica nel futuro: la possibilità di sviluppare integratori che concentrino i contenuti dei cibi nel piatto in una forma diversa per ottimizzarne la parte funzionale”. Anche il professor Calogero Caruso, dell’Università di Palermo, ha compiuto uno studio per capire il segreto della longevità dei siciliani dell’area dei monti Sicani: lei vuol arrivare a cent’anni? “No, mi basterebbe vivere senza soffrire di malattie neurovegetative”.

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