MILANO. Gli antichi egizi usavano la cera d'api come appretto, per conferire alle tuniche di lino una fitta plissettatura che si è conservata perfettamente per oltre 4.000 anni: a suggerire questa ipotesi sono le analisi scientifiche condotte su alcuni tessuti conservati al Museo Egizio di Torino e risalenti al periodo compreso fra la quinta e l'undicesima dinastia (2.700-2.000 a.C.).
I risultati sono presentati a Torino, in occasione del congresso nazionale dell'Associazione Italiana di Archeometria (Aiar), da una task force di esperti formata da università di Palermo e Torino, Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Messina e Centro Conservazione Restauro La Venaria Reale. Lo studio è nato tra le mura del Museo Egizio di Torino "dove si conserva una delle collezioni più cospicue al mondo di tuniche plissettate: sono ben 12, di cui 6-7 ancora integre", spiega la restauratrice di tessuti antichi Cinzia Oliva.
Le vesti sono realizzate in tela di lino con una tecnica sartoriale ingegnosa, che riduce al minimo le cuciture tra il corpo centrale e le maniche. Con uno scollo a V sia davanti che sul retro, sono state ritrovate indosso o ripiegate vicino ad alcune mummie naturali, all'interno di sepolture per lo più femminili, probabilmente appartenute a donne di alto rango. "Osservando questi tessuti - sottolinea la restauratrice - si rimane stupiti da come abbiano perfettamente conservato la plissettatura alternata, con metà delle pieghe rivolta verso l'alto e l'altra metà verso il basso, senza quelle lacerazioni che si formano normalmente nelle piegature dei tessuti antichi".
Per svelare il segreto dei sarti egizi, gli esperti del Museo e della Soprintendenza si sono rivolti ai chimici dell'Università di Torino. "Grazie alla spettroscopia infrarossa abbiamo individuato la presenza nei tessuti di materiali cerosi: un primo indizio che però non ci dava alcuna certezza per la debolezza del segnale", spiega la chimica Monica Gulmini.
La palla è così passata ai ricercatori siciliani che, usando la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare, hanno isolato e amplificato il segnale emesso dalla cera d'api. "I risultati però sono ancora preliminari", precisa Maria Luisa Saladino dell'Università di Palermo. "Per avere una panoramica più completa dovremmo estendere le analisi ad un campione più numeroso di tessuti".
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