ROMA. Ridurre del 10 per cento il consumo di sale nell'arco di un decennio permetterebbe di risparmiare, ogni anno nel mondo, circa 6 milioni di anni di vita persi a causa di malattie cardiovascolari.
E il risparmio medio sarebbe di 204 dollari per ogni anno di vita salvato.
A mostrare, dati alla mano, quanto ai governi convenga investire in prevenzione è uno studio pubblicato sul British Medical Journal (Bmj).
I ricercatori hanno applicato a 183 Paesi un modello statistico sviluppato per analizzare l'apporto di sodio, i livelli di pressione sanguigna e gli effetti sulle malattie cardiovascolari. Questi sono stati messi in relazione ai costi derivanti da programmi di riduzione del sodio, che utilizzano ad esempio accordi con l'industria alimentare e progetti di educazione pubblica, con relativi investimenti in risorse umane, formazione, attrezzature e mezzi di comunicazione.
L'efficacia complessiva dell'intervento è basata su recenti sforzi effettuati nel Regno Unito e Turchia, che hanno dimostrato che un tale programma sostenuto dal governo può ridurre il consumo di sale di almeno il 10 per cento in 10 anni.
Ne è emerso che questa modesta riduzione del consumo di sale potrebbe salvare ogni anno una media di 5,8 milioni di Disability-Adjusted Life Year (DALY), un'unità di misura che è pari alla somma degli anni di vita persi a causa di una morte prematura e di quelli vissuti in malattia piuttosto che in salute.
Di questi 5,8 milioni di anni di vita persi, il 40% sono attribuibili a ictus, il 42% a malattia coronarica e il 18% ad altre malattie cardiovascolari.
I ricercatori hanno inoltre valutato i risparmi per ogni regione del mondo. Ad esempio in Europa Occidentale gli anni di disabilità evitati sarebbero 282.541 con un rapporto costo-beneficio di 477 dollari ciascuno.
«Abbiamo scoperto che un piano nazionale supportato dal governo per ridurre il consumo di sale nei cibi sarebbe costo-efficace in quasi tutti i Paesi del mondo», ha detto Michael Webb, primo autore dello studio e ricercatore in Economia presso l'Università di Stanford.
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