ROMA. Hanno 10 mila anni le prime verdure cotte dall'uomo, erano preparate come una polenta per accompagnare piatti a base di carne o pesce. A scoprirlo è stato uno studio coordinato da Savino di Lernia, dell'università Sapienza di Roma, pubblicato su Nature Plants, ha analizzato resti di ceramiche trovate in Libia in cui sono presenti le più antiche tracce di cottura dei cibi vegetali. L'introduzione della cottura rappresenta un passo fondamentale nella civiltà dell'uomo e finora si avevano scarsissime testimonianze dell'uso delle prime verdure cotte. La più antica prova arriva ora da alcuni frammenti di vasi scoperti nel Sud Ovest della Libia. «Non abbiamo certezza su cosa cucinassero in questi contenitori di ceramica - ha spiegato Savino di Lernia - ma molti indizi portano a pensare che non fossero zuppe o minestroni ma qualcosa di simile alle polente che si cucinano ancora oggi nel nord Africa e usate per accompagnare carne o pesce». I resti risalgono a oltre 10mila anni fa e «arrivano - ha aggiunto il ricercatore italiano - da scavi fatti in siti molto antichi, protetti come patrimonio dell'umanità, dove tempo fa avevamo trovato anche le più antiche tracce di lavorazione del latte». I frammenti di ceramica, scoperti e analizzati grazie anche alla collaborazione di Anna Maria Mercuri, dell'università di Modena e Reggio Emilia, e Silvia Bruni, dell'università di Milano, conservano ancora piccolissime tracce di verdure la cui composizione è stata trasformata dal processo di cottura. Le analisi hanno permesso di riconoscere la specie di piante e semi che venivano cotti all'interno di queste 'pentolè di ceramica, larghe una quarantina di centimetri e decorate esteticamente, che venivano poggiate su 'piastre' di pietra capaci di mediare il calore delle fiamme sottostanti. All'epoca la regione non era desertica ma ricca di verde e corsi d'acqua dove viveva una popolazione di cacciatori-raccoglitori ma che aveva sviluppato importanti innovazioni tecnologiche e sociali. I cibi ritrovati ne danno una nuova testimonianza. «Si trattava principalmente - ha proseguito di Lernia - di un mix di foglie e semi, ad esempio di sorgo selvatico, tritati a formare una farina grossolana che veniva cotta». Gli studi sono stati fatti in laboratorio su resti prelevati anni fa dai siti di Takarkori e Uan Afuda, territori al momento impossibili da visitare per i ricercatori a causa delle difficili condizioni dovute alle guerre nella regione.