MILANO. Ci saranno coltivazioni di riso, soia, patate e grano a sostenere i primi coloni su Marte: scelte per il loro contenuto di proteine e carboidrati fondamentali per l'alimentazione umana, dovranno essere cresciute con tecniche di coltivazione che tengano conto delle condizioni ambientali estreme, arrivando a sfruttare perfino le feci e le urine degli astronauti opportunamente rielaborate, all'interno di un ecosistema chiuso e perfettamente sostenibile. A tratteggiare questo scenario è Stefania De Pascale, docente di ortofloricoltura all'Università Federico II di Napoli, che da anni collabora con l'Agenzia spaziale italiana (Asi) e l'Agenzia spaziale europea (Esa) per delineare quella che sarà l'agricoltura extraterrestre del futuro. Lo ha spiegato in occasione di 'D-Nest International Inventors Exhibition', la grande fiera degli inventori, in programma fino a domani al PalaExpo di Venezia. «Le colture di queste piante avranno una doppia funzione: fornire cibo e rigenerare aria e acqua nelle colonie», spiega De Pascale. «Grazie al progetto di ricerca europeo 'Melissa', stiamo lavorando da anni per selezionare le cultivar, adattare le tecniche di coltura e sviluppare metodi di raccolta e conservazione dei prodotti». Le tecniche di coltivazione «saranno più simili a quelle terrestri rispetto a quelle viste finora sulla Stazione spaziale internazionale, perchè su Marte c'è gravità, anche se è pari al 40% di quella terrestre». Quello che mancherà sarà il terreno adatto alle colture. «È probabile che il suolo marziano ricco di regolite possa comunque essere ammendato con l'uso di residui organici, quindi scarti alimentari o delle stesse coltivazioni, ma anche feci e urine rielaborate, come abbiamo visto nel film 'The Martian'», ricorda l'esperta. «La cosa su cui si punta, però, sono soprattutto le colture idroponiche, senza suolo e con soluzioni circolanti complete di elementi nutritivi: abbiamo già dimostrato che possono addirittura migliorare produttività e qualità della soia rispetto alla coltura in campo».