ROMA. Portare la vita terrestre su mondi lontani e non abitati, inviando sonde con batteri super resistenti o mini laboratori capaci di sintetizzare microrganismi ad hoc: è l'ambizioso Progetto Genesi, proposto dal fisico teorico tedesco Claudius Gros, dell'università Goethe di Francoforte, sulla rivista Astrophysics and Space Science. "L'umanità vuole davvero cambiare attivamente una parte del cosmo oppure vuole solo osservarlo passivamente? Il Progetto Genesi ci dà una possibilità di lasciare un'eredità", dice Gros in una intervista rilasciata per Science e pubblicata online in cui spiega i concetti alla base di questo 'fantascientifico' progetto. Al momento, realizzarlo praticamente, risulta impossibile ma, secondo il fisico tedesco, le tecnologie necessarie sono alla nostra portata: una prima sonda 'inseminatrice' potrebbe essere inviata già tra 50 anni, 100 al massimo. Il progetto prevede di esportare forme di vita su pianeti teoricamente abitabili dove però la vita non è già fiorita spontaneamente. Per farlo si potrebbero inviare piccole sonde con a bordo un carico di batteri oppure mini laboratori di biologia genetica capaci di sintetizzare microrganismi e modellarli in base alle condizioni presenti sui vari mondi. I pianeti dove la vita sia già presente sarebbero invece preservati, evitando di contaminarli. Le sonde ipotizzate potrebbero essere molto simili a quelle spinte da enormi 'vele' ideate per Starshot, la missione del miliardario Yuri Milner e sostenuta da scienziati del calibro di Stephen Hawking per esplorare il pianeta scoperto attorno alla stella più vicina a noi, Proxima Centauri. "E' sicuramente suggestivo - ha spiegato l'astrobiologa Daniela Billi, dell'università di Tor Vergata - ma farlo vorrebbe dire anche arrendersi all'idea che siamo soli nell'universo. Esportare la vita terrestre, in forma di microrganismi, potrebbe non essere poi così complicato. Su Marte ad esempio forse lo si potrebbe fare ma è proprio quello che si vuole evitare, non a caso esistono delle regole molto precise su questo, dette di 'planetary protection'". Uno dei grandi rischi nel voler esportare la vita terrestre sarebbe quello di non saper riconoscere la vita aliena, probabilmente molto diversa dalla nostra: "Siamo così certi di voler contaminare altri ambienti? Possiamo essere sicuri che non esista già?", si chiede Maria Teresa Capria, dell'Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Iaps-Inaf). "Non so - conclude - se abbia senso investire su progetti di questo tipo, meglio cercare quello che ancora non conosciamo".