ROMA. «Quando le batterie prendono fuoco accade perchè la temperatura supera un certo valore e il circuito di monitoraggio, che controlla e protegge la batteria, non si comporta come dovrebbe. È ipotizzabile un difetto di progettazione»: è questo il parere di Federico Baronti, ricercatore universitario del dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell'Università di Pisa, dopo i casi di esplosione della batteria del Galaxy Note 7 di Samsung, che hanno portato l'azienda a ritirare dal mercato il dispositivo.
«Per quello che sappiamo al momento sembra sia un problema simile a quanto accaduto in passato, sia su cellulari, sia su computer portatili, sia sulle batterie dei Boeing 787», spiega il ricercatore.
«Tutte le batterie al litio, da quelle più piccole usate per gli smartphone a quelle più grandi di un veicolo elettrico - aggiunge - sono dotate di una elettronica che monitora il funzionamento di ogni cellula affinchè sia in condizioni operative ben precise e per evitare condizioni di pericolo. In genere - spiega - è l'elettrolita a prendere fuoco. Accade nel momento in cui la temperatura della batteria supera un certo valore e si possono verificare fenomeni che producono ulteriore calore fino a diverse forme di danneggiamento e di esplosione dei cellulari».
Per il ricercatore, se i circuiti di protezione della batteria non funzionano «il processo esce fuori controllo ed è il momento più critico per la batteria».
Difficile dire se nel caso di Samsung, spiega Baronti, «sia stato un caso o un'anomalia, ci possono essere stati diversi elementi che non si sono comportati in modo corretto. E ipotizzabile un difetto di progettazione».
In futuro sarà possibile avere batterie più sicure?
«Nei prossimi 5-10 anni la tecnologia dominante rimmarrà quella agli ioni di litio, con ogni anno piccoli miglioramenti. La ricerca va avanti su due livelli - conclude il ricercatore -. Quello tecnologico e quello di controllo e gestione della batteria».
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