ROMA. Sempre più plastica viene ingerita dagli organismi marini e può risalire la catena alimentare fino ad arrivare nei nostri piatti. Lo denuncia oggi un nuovo rapporto «La plastica nel piatto, dal pesce ai frutti di mare» realizzato dai laboratori di ricerca di Greenpeace, che raccoglie i più recenti studi scientifici sugli impatti delle microplastiche, incluse le microsfere, sul mare e quindi su pesci, molluschi e crostacei.
L'associazione ambientalista afferma che «si stima che ogni anno arrivino in mare otto milioni di tonnellate di plastica: che siano microsfere o frammenti dovuti alla degradazione di altri rifiuti (imballaggi, fibre o altro)». «La presenza di frammenti di plastica negli oceani è un problema noto da tempo ma in crescita esponenziale - rileva Greenpeace - Una volta in mare, gli oggetti di plastica possono frammentarsi in pezzi molto più piccoli, e diventare microplastica.
Un caso a parte sono le microsfere: minuscole sfere di plastica prodotte apposta per essere usate in numerosi prodotti domestici (cosmetici e altri prodotti per l'igiene personale)». Greenpeace Italia chiede al Parlamento «di adottare al più presto il bando alla produzione e uso di microsfere di plastica nel nostro Paese: su iniziativa dell'associazione Marevivo è stata già presentata una proposta di legge. Si tratta di una misura precauzionale, al vaglio in numerosi Paesi, necessaria per fermare al più presto il consumo umano di questi materiali».
Purtroppo, osserva Greenpeace, «non ci sono ancora ricerche sufficienti a definire con certezza gli impatti sulla salute umana ma i dati disponibili confermano la necessità di applicare con urgenza il principio di precauzione, vietando la produzione di microsfere e definendo regole stringenti per ridurre in generale l'utilizzo di plastica.
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