ROMA. I cambiamenti degli oceani provocati dalle attività umane sono risultati devastanti per diverse specie marine, ma non per tutte. In controtendenza rispetto ad altre specie ittiche in declino sono i cefalopodi, ovvero polpi, seppie, calamari, le cui popolazioni sono notevolmente aumentate negli ultimi 60 anni.
Lo afferma uno studio internazionale guidato dall'Università australiana di Adelaide.
Illustrata su Current Biology, l'analisi mostra come la presenza dei cefalopodi sia aumentata dagli anni '50. Una «sorpresa», spiega Zoe Doubleday dell'Istituto ambientale dell'ateneo australiano.
«I cefalopodi sono notoriamente variabili», spiega, «e la popolazione può oscillare fortemente sia all'interno di una stessa specie sia tra specie diverse. Il fatto che abbiamo osservato consistenti incrementi nel lungo periodo di diversi gruppi di cefalopodi, in habitat diversi, è un risultato notevole». Secondo i ricercatori la proliferazione di queste specie marine - soprannominate anche le «erbacce» del mare - è da attribuire alla loro capacità di rispondere ai mutamenti ambientali: i cefalopodi sono noti per la loro crescita rapida, la breve durata di vita e lo sviluppo flessibile. Caratteristiche che secondo gli studiosi permettono a queste specie di adattarsi più velocemente a cambiamenti quali ad esempio la temperatura dell'acqua. Il fatto che le popolazioni siano aumentate suggerisce che seppie e calamari abbiano non solo resistito ai mutamenti degli oceani ma che ne abbiano tratto perfino beneficio. Due le ipotesi sulle cause della loro proliferazione: il riscaldamento globale e la pesca
eccessiva, sottolineano i ricercatori.
«Essendo voraci predatori ma anche a loro volta fonte di cibo per altre specie marine, oltre che per gli esseri umani», dice Doubleday, il loro aumento può avere «implicazioni significative e complesse per la catena alimentare marina e per l'uomo». Effetti che saranno oggetto di nuovi studi.
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