PALERMO. Altro che giorni della merla. A smentire la tradizione sul periodo più freddo dell'anno è l'allarme della Coldiretti: nel mese di gennaio è caduta circa il 60% di acqua in meno rispetto alla media, praticamente gli stessi millimetri di pioggia di agosto. Una fotografia che la dice lunga su questo anomalo inverno italiano, con i pesanti effetti sullo smog e sulla saluta umana che tutti conosciamo. E sull'agricoltura? Alessandro Chiarelli, presidente di Coldiretti Sicilia, ci tiene a dirlo: «non sono un catastrofista», ma la situazione nell'Isola è «piuttosto seria».
Quali sono le conseguenze dell'inverno mai arrivato?
«A causa della siccità e del caldo i terreni non sono stati soddisfatti e gli invasi idrici non si sono riempiti. Inoltre, le giornate aride alternate a quelle soleggiate hanno "allarmato" le piante, portando a un pericoloso anticipo di gemmatura. E se vedere già mandorli o peschi in fiore può essere piacevole per il turista, vi assicuro che per un coltivatore è un brutto segnale: vuol dire che la pianta non è andata bene in letargo, che il naturale rallentamento del sistema linfatico è andato in tilt a causa del clima. Ovviamente la precoce gemmatura non vuol dire che produrremo prima, ma che quando arriveranno probabili gelate a febbraio o marzo la pianta si troverà impreparata e subirà danni».
Si possono già quantificare?
«Sicuramente ci saranno delle perdite, ma è ancora presto per fare i calcoli. Possiamo solo incrociare le dita e sperare che la gemme premature non vengano bruciate dai cambi repentini del tempo. C'è poi un altro problema, che riguarda le coltivazioni di cereali, dove assistiamo a un fenomeno opposto, con campi seminati a dicembre e gennaio dove le piantine stentano a nascere. E non dimentichiamoci degli allevamenti, con le difficoltà per il nutrimento dovuto alla scarsità dell'erba da pascolo, specie nelle zone costiera del Sud dell'Isola, dove in questo periodo, tra l'altro, si sta verificando una innaturale anticipazione dei ciclici, fisiologici calori degli animali, tratti in inganno dal bel tempo».
Ci saranno conseguenze anche sui prezzi al consumo?
«Se ci saranno danni seri alle coltivazioni è chiaro che ci sarà anche un aumento del costo dei prodotti, che non significa certo maggior guadagno per gli agricoltori. E con la mancanza o la scarsità di merce bisognerà prestare la massima attenzione alle importazioni, e a tutti quei furbetti che per soddisfare la domanda dei consumatori magari faranno passare per siciliani prodotti che vengono dall'estero».
Cosa bisognerebbe fare a breve termine per limitare i danni?
«Si dovrebbero garantire quanti più ettari possibile di zone irrigue. In Sicilia c'è un serio problema di politica gestionale degli invasi, che ci sono ma non vengono usati, commissariati da decine di anni. Questo comporta diversi problemi, a cominciare dal mancato riempimento degli invasi artificiali, alcuni dei quali non sono stati neanche collaudati, con la conseguente impennata delle spese per il prelevamento dell'acqua, raddoppiata se non addirittura triplicata. Bisogna trovare i soldi per la bonifica e fermare la desertificazione che avanza. Parallelamente, poi, si potrebbe agire anche sulla politica ambientale».
In che modo?
«Investire sempre di più sulla green economy e sull'energia pulita e sul biologico. In questo la Sicilia è messa abbastanza bene, e siamo già competitivi a livello europeo. Una ulteriore spinta in questo senso potrebbe arrivare dal rinnovamento del parco macchine delle aziende agricole, puntando sull'olio combustibile vegetale. Ci vorrebbero incentivi e risorse».
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