ROMA. «Ovvio che non basta limitare un po' il traffico e aspettare che cambi il clima». Francesco Forastiere, medico del dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio e coordinatore del progetto «Viias» del ministero della Salute per la valutazione degli effetti dell'inquinamento in Italia, boccia targhe alterne e altre misure «precarie» di contrasto allo smog. Servirebbe ben altro: «Da tempo - afferma Forastiere - sono all’ordine del giorno rinnovamenti strutturali che privilegino il trasporto pubblico, modalità di trasporto più attente all'ambiente, piste ciclabili e mobilità alternativa».
Inquinamento. Una sola parola, molte cause. Quali?
«Quando si dice inquinamento ci si riferisce a polveri sottili, dal diametro piccolo, PM10, PM2.5, e quindi in grado di depositarsi nell'albero respiratorio, e a gas come biossido di azoto, anidride solforosa, ozono che sono dannosi per la salute. Le fonti responsabili della loro emissione e formazione sono tre: gli scarichi veicolari, specie i veicoli diesel, il riscaldamento a biomasse con la combustione di legna e pellet, le emissioni industriali. Questi inquinanti provocano danni a breve termine, cioè entro pochi giorni dalla esposizione. Ovvero danni cronici che aumentano la probabilità di contrarre malattie e di morire prematuramente».
È sempre più rischioso respirare nel Belpaese?
«I livelli di inquinamento in Italia sono diminuiti negli ultimi otto anni. Questo è dovuto in parte al fatto che le emissioni inquinanti dei veicoli sono diminuite e in parte al fatto che la crisi economica ha ridotto il traffico e la produttività. Esistono, tuttavia, aree di emergenza nel nostro Paese: la pianura Padana, le aree fortemente urbanizzate, le aeree industriali. In alcuni periodi dell’anno come questo, a causa del persistere degli episodi di alta pressione atmosferica, gli inquinanti si disperdono di meno e si raggiungono livelli di concentrazione che sono oggettivamente pericolosi per la salute. Il pericolo è maggiore per le persone che soffrono di malattie cardiorespiratorie».
Impossibile coniugare economia e salute?
«Sarebbe possibile se le scelte economiche, piuttosto che legate solo alle regole del profitto o della immediata scelta politica, fossero più rispettose dell'ambiente e della salute delle persone. Si può fare una politica diversa che coniughi sviluppo economico e salute e in molti paesi europei si è fatto. Ci vuole impegno e dedizione delle amministrazioni nazionali e locali. Impegno e dedizione in Italia mancati per troppi anni in cui il tema delle conseguenze per l’ambiente e la salute è stato ignorato dalle scelte economiche».
Dal rapporto Viias 2015 emerge il paradosso delle biomasse per riscaldamento: sarebbero dovute servire a migliorare la qualità dell'aria, si scopre che producono effetti nocivi. O no?
«Lo studio Viias, promosso dal Ministero della Salute, ha valutato in circa 35 mila all’anno i decessi prematuri in Italia attribuibili all’inquinamento. Si tratta di un carico di malattia enorme, circa dieci mesi di vita in meno per ogni cittadino italiano, più di un anno per chi vive al Nord. Lo studio ha evidenziato che le emissioni da biomasse, legna e carbone, sono particolarmente dannose perché sono responsabili di una quota importante alla emissione delle polveri sottili. In altre parole, quella che sembrava una risorsa “verde” non fa che aggravare l'impatto dell’inquinamento».
In un'intervista al «Giornale di Sicilia», il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti ha evidenziato che molti, troppi, mezzi pubblici sono vecchi e «cento volte» più dannosi delle auto private. D'accordo?
«Sicuro, d’altra parte se non ci sono investimenti sul trasporto pubblico cosa si pretende. Sta proprio a chi si occupa della salvaguardia dell’ambiente il compito di un piano nazionale che promuova modalità pulite ed innovative di trasporto. E poi le scelte di oggi avranno un impatto per un futuro lungo».
Sempre stando al vostro studio, il 29 per cento degli italiani vive in territori «fuorilegge tutto l'anno» per concentrazione di gas inquinanti. Almeno sotto questo profilo, Sud meglio del Nord?
«Il Nord presenta un maggior livello di urbanizzazione, diversi impianti industriali, un maggior uso di legna e pellet, una condizione meteorologica che non facilita la dispersione degli inquinanti. Sicuramente peggio del Sud. Non dobbiamo dimenticare, però, che al Sud ci sono diverse zone che hanno sofferto di uno sviluppo industriale poco controllato che ha prodotto danni all’ambiente e alle popolazioni».
Avete anche denunciato «considerevoli disuguaglianze degli effetti sanitari» in ambito nazionale. Cioè?
«Purtroppo sono esposte a livelli maggiori di inquinamento proprio le persone di strato sociale più basso che quindi hanno meno risorse e soffrono in misura maggiore dell'impatto dell’inquinamento».
Si può essere più ottimisti, dopo la conferenza internazionale di Parigi sui cambiamenti climatici?
«La conferenza si è chiusa con un certo entusiasmo dopo anni di delusione e di rinvii. È certo che si può fare molto, ma non dobbiamo tralasciare una vigilanza attenta e la continua pressione sui temi ambientali. Troppe volte l’ambiente è stato sacrificato in nome dello sviluppo, delle scelte economiche, degli interessi. Ne ha fatto e ne fa le spese la salute delle popolazioni. Si tratta di un danno sanitario che a sua volta diventa un danno economico rilevante».
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