Mercoledì 18 Dicembre 2024

Vieri nella sua biografia: "La sera riuscivo a convincere sempre una gnocca"

ROMA. "Dai diciotto anni in avanti i giorni di astinenza sono stati davvero pochini". "C’erano gnocche dappertutto". "Riuscivo sistematicamente a convincerne una – a dire il vero anche due o tre nel corso della stessa serata – a seguirmi negli uffici del locale". "Ci chiudevano lì dentro e facevo quello che deve fare un bomber". No, non è il frammento di una conversazione tra maschi in spogliatoio: è il libro di Bobo Vieri,Chiamatemi bomber (Rizzoli), racconto in tre parti – il sogno della Serie A, la nazionale, le donne – della vita di un calciatore di successo. C’è così tanto sfoggio di potenza sessuale, nelle pagine dell’autobiografia scritta insieme a Graziano Mirko, che viene il sospetto di un’esagerazione. Riportiamo un'intervista dell'huffingtonpost.it. Chiedo: "Vieri, lei ha mai fatto cilecca?". Vietato parlarne. Il bomber ha risposto a tutte le domande che gli ho inviato via mail, tranne due: questa appena citata, e un’altra: "Ha mai conosciuto un calciatore gay?". Sul resto, non si è tirato indietro. Scrive: "Cesare Maldini, Emiliano Mondonico e Rosario Rampanti sono gli allenatori che hanno più creduto in me". E lei in chi ha più creduto? Sono stati tutti molto importanti per me, ognuno ha lasciato una traccia in epoche diverse e per diversi motivi. Loro sono quelli che hanno creduto in me da ragazzo, ed è merito loro se c’è stata la svolta, ma la fiducia che mi ha dato anche Lippi quando ero già un giocatore affermato non posso dimenticarla. Ha giocato nel Torino, nella Juventus, nel Milan, nella Lazio, nell'Inter. Nel libro, però, dice che per lei "la lealtà è sacra”. Anche quella ai tifosi e alla maglia? La lealtà è la base dei miei principi, ma non deve per forza significare rimanere a vita in un’unica squadra. La lealtà è quella che ho dimostrato nei confronti di ogni compagno e tifoso in ogni mia avventura. Ho sempre dato il cento per cento e non mi sono mai dimenticato di quello che loro si aspettavano da me. Il "dolore più grande”, dice, è stato non esserci al mondiale del 2006, quello vinto dall’Italia. Non penso sia stato il dolore più grande della mia vita, ma sicuramente la delusione più profonda a livello professionale. La nazionale è sempre stata davvero importante per me. Ho metabolizzato non partecipare ai Mondiali del 2006 con gli anni. All’inizio non riuscivo neanche a rivedere le partite, soffrivo troppo, ma con il passare del tempo ho capito che la vita ti mette di fronte ad ostacoli imprevisti, ma che non puoi dimenticare tutto quello di bello che c’è stato prima. Una volta i giornalisti le attribuirono una lite con Buffon. Era falso. Lei andò in sala stampa e disse: "Sono più uomo io di tutti voi messi insieme". Che significa essere uomo, per lei? Avere sempre il coraggio di dire quello che si pensa, soprattutto di fronte ad evidenti ingiustizie e bugie. In queste situazioni, mai nascondersi dietro alla diplomazia. Cosa le manca di più della sua vita di calciatore? Della mia vita da calciatore mi mancano il gruppo, gli allenamenti e la partita la domenica. Tra le tre, però, quella che prevale di più è sicuramente la prima. Mi manca stare tutti insieme nello spogliatoio, gli scherzi, le battute ma anche la consapevolezza di dover remare tutti insieme per raggiungere l’obiettivo che ci si è prefissati ad inizio stagione. E la luce dei riflettori le manca? Quella assolutamente no. Da quando non sono più sui giornali tutti i giorni vivo molto meglio. Nel libro ci sono moltissime donne. Come ha fatto? È innegabile che io mi diverta e mi trovi bene con le donne in generale. Ho moltissime amiche con cui passo parte del mio tempo. Mi diverto moltissimo con loro. Solo quello? Non nascondo di essere uscito molto a Milano… Come faceva a conciliare la sua vita notturna con quella ferrea da calciatore? Nel libro racconto del Pineta, locale che ho spesso frequentato durante le mie vacanze estive, finito il campionato. Uscivo anche la domenica o durante al settimana. Ma sapevo quando potevo e quando no. Il lavoro è sempre stato al primo posto. Sennò come avrei potuto segnare un gol a partita per quindici anni? Avrebbe potuto fare di più senza, diciamo così, la bella vita? Ho sempre fatto ciò che ritenevo giusto. Sono i giornali che hanno sempre parlato di me come uno che facesse la bella vita ma non c’è niente di più falso. Mi allenavo sempre duramente dando il cento per cento sia durante la settimana che la domenica. Come detto prima, non nascondo di essere uscito ma il lavoro ha sempre avuto la precedenza su tutto il resto. Che fa oggi? Oggi lavoro per la più grossa emittente televisiva a livello sportivo in America, Bein Sports. Vivo a Miami. Mi trovo benissimo nei panni dell’opinionista e commentatore. È felice? Sì.

leggi l'articolo completo