ROMA. Anche negli ambienti più estremi del nostro pianeta può esserci la vita: a confermarlo è la scoperta, fatta dai ricercatori coordinati da Frieder Klein del Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI), di tracce di forme di vita nelle rocce sepolte sotto i fondali oceanici, rimaste preservate per oltre 100 milioni di anni. Sulla rivista dell'accademia americana delle scienze (Pnas), la ricerca spiega come sono stati rinvenuti dei microbi fossilizzati nelle antiche rocce del mantello terrestre, spinte dalle forze tettoniche nei fondali marini durante il periodo del Cretaceo. Il che conferma l'ipotesi che le interazioni tra le rocce del mantello terrestre e l'acqua marina possano creare un luogo per la vita. I microbi rinvenuti sono dello stesso tipo di quelli presenti a Lost City, un'area dell'Oceano Atlantico ricca di bocche idrotermali. «Inizialmente stavamo cercando di capire come l'acqua marina interagisce con le rocce del mantello terrestre - spiega Klein - e come questo processo generi idrogeno. Ma nel corso delle analisi sui campioni di roccia, abbiamo scoperto delle tracce organiche mummificate nei minerali circostanti, contenenti lipidi, proteine e aminoacidi, cioè i mattoni della vita». I ricercatori si sono concentrati sulle rocce del mantello esposte all'acqua marina 125 milioni di anni fa, quando una grande frattura spaccò il supercontinente noto come Pangea. Questa frattura, da cui ha poi avuto origine l'oceano Atlantico, ha spinto le rocce del mantello dal cuore della Terra ai fondali marini, dove le reazioni con l'acqua marina hanno dato vita ad acque idrotermali. «I liquidi idroterminali sono molto acidi - continua Klein - e hanno condizioni chimiche estreme, difficili per i microbi. Tuttavia contengono anche idrogeno e metano, mentre l'acqua marina ha carbonio disciolto. Mescolati insieme nelle giuste proporzioni, sono gli ingredienti che possono sostenere la vita».