ROMA. Crescono le allergie alimentari dei bambini ma le scuole non sono preparate. Anche se le mense sono di regola attrezzate, il servizio è messo in difficoltà dalle varietà delle patologie. Non solo: in Italia manca una normativa unitaria che regolamenti come gli insegnati debbano intervenire in caso di reazioni allergiche gravi dovute all'assunzione accidentale di alcuni alimenti. La questione più delicata riguarda infatti la possibilità per gli insegnanti di somministrare farmaci ai bambini colpiti da una crisi. Risultato, il ritorno sui banchi è spesso vissuto come un incubo da alcuni genitori ed insegnanti di piccoli con particolari problemi. Secondo lo studio Europrevall, pubblicato in agosto con il contributo del Bambino Gesù, le allergie alimentari oramai interessano il 2-3% dei bambini al di sotto dei tre anni, l'1-3% di quelli in età scolare e prescolare e l'1% degli adolescenti. Un problema che si rivela particolarmente rilevante nei Nidi e nelle Scuole Materne ma un numero tutt'altro che trascurabile è ancora presente nelle scuole dell'obbligo. Dati alla mano in una città come Roma gli alunni con problemi sono almeno 20 mila, 50 mila nel Lazio. «Ogni bambino - afferma Alessandro Fiocchi, responsabile di allergologia all'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma - ha la sua allergia alimentare e quindi ci debbono essere tante diete quanti sono i bambini con allergia alimentare. Diete che debbono essere costruite sul certificato di esenzione rilasciato dall'allergologo o dal pediatra ma che purtroppo non sempre vengono rilasciati dopo un appropriato iter terapeutico». Inoltre, sottolinea l'esperto, «non esiste una banca-dati sul numero di certificati per allergia alimentare ma da una indagine informale presso alcune scuole materne italiane si aggirano attorno all'8%: una percentuale ben più alta di quella degli allergici». Ad aggravare la situazione la mancanza in Italia di una normativa che informi e autorizzi i docenti ad intervenire in caso di reazioni anafilattiche. «In alcuni Paesi europei e negli USA - spiega Fiocchi - esistono leggi ad hoc e gli operatori sono istruiti a riconoscere tempestivamente le reazioni e a farvi fronte. Sono inoltre dotati di farmaci che consentano un tempestivo intervento. Nel nostro paese no». Risultato: gli insegnanti da un lato si sentono responsabilizzati nei confronti del bambino allergico ma dall'altro hanno 'le mani legate' per quanto riguarda qualunque intervento terapeutico che spesso non sanno nè quando nè come mettere in atto. «Non è neanche chiaro - conclude - se, a fronte di un action plan firmato dal medico e di un'autorizzazione-delega da parte dei genitori, gli insegnanti possano praticare l'adrenalina autoniettabile, farmaco salva-vita, utilizzabile anche dai 'non-addetti ai lavori'».