ROMA. Le secchiate di acqua gelata dell'Ice Bucket Challenge della scorsa estate hanno fatto bene alla ricerca sulla Sla che, grazie ai 220 milioni raccolti con le donazioni connesse alla sfida, ha potuto triplicare i fondi normalmente raccolti e ottenere importanti progressi nello studio di questa patologia neurodegenerativa progressiva per la quale ancora non esiste cura.
A sostenerlo sono il ricercatori della Johns Hopkins Medicine, autori di uno studio su Science supportato dall'associazione no profit americana Als Association, che ha ricevuto 115 milioni di quei fondi.
Gli studiosi sostengono che l'infusione di finanziamenti ha permesso a loro di studiare più approfonditamente una proteina disfunzionale nella maggior parte dei casi di Sla, la TDP-43, un mistero studiato per decenni.
«Negli ultimi dieci anni abbiamo cercato di capire esattamente quello che sta facendo e ora penso che lo abbiamo finalmente capito», ha spiegato Jonathan Ling, della Johns Hopkins Medicine, in un video pubblicato proprio su Youtube, il social network dove i video dell'Ice Bucket Challenge, prodotti da 17 milioni di persone, l'anno scorso sono stati guardati da 440 milioni di utenti, per un totale complessivo di 10 miliardi di visualizzazioni.
«Ciò potrebbe portare, con un pò di fortuna, alla possibilità di una cura o almeno a un rallentamento di questa terribile malattia», ha aggiunto Ling, mentre il professor Philip Wong ha evidenziato che «il denaro è arrivato in un momento critico, quando più c'era bisogno». Gli studiosi, tuttavia, hanno avvertito che il lavoro è in corso e molti malati di Sla potrebbero non vedere i benefici della ricerca. «Vi invitiamo a continuare con l'Ice Bucket Challenge» ha perciò concluso Wong.
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