MILANO. La carenza di vitamina D è non solo associata a un aumentato rischio di infarto e insufficienza cardiaca acuta, ma ne peggiora anche gli esiti e le conseguenze. La conferma arriva da uno studio del Centro Cardiologico Monzino, condotto su 814 pazienti ricoverati con infarto miocardico e pubblicato sulla rivista scientifica Medicine. «L'80% dei pazienti colpiti da infarto - spiega Giancarlo Marenzi, Responsabile della Terapia Intensiva Cardiologica del Monzino e coordinatore dello studio - presentano un deficit, totale o parziale, di vitamina D. Inoltre chi ha i valori più bassi sviluppa una peggiore progressione della malattia nel tempo, un aumentato rischio di mortalità e maggiori complicanze cliniche intra-ospedaliere e a un anno dal ricovero». Si sa da tempo che la vitamina D, che l'organismo ricava dal cibo o produce attraverso la pelle esposta ai raggi solari, ha un ruolo essenziale nella salute delle ossa, ma sta diventando sempre più evidente anche la sua relazione con alcune forme di tumori, malattie infettive, autoimmuni e, non ultimo, cardiovascolari. «Esiste una relazione tra i livelli di questa vitamina e la salute del cuore: gli infarti, ad esempio, sono più frequenti nei mesi invernali che nei mesi estivi, e la loro incidenza nella popolazione aumenta via via che dall'equatore si sale verso il polo. Da qui l'ipotesi che ci fosse un collegamento con la vitamina D, che è attivata dal sole. I dati raccolti dimostrano l'esistenza di questo legame». «Il prossimo nostro passo - conclude Marenzi - sarà se e in quale misura compensare il deficit di vitamina D influenza l'esito della terapia in fase acuta. In altre parole, se l'integrazione di vitamina D può diventare una componente della cura dell'infarto».