ROMA. Se il viaggio d'andata ci sembra interminabile, quello del ritorno sembra sempre più breve. Esiste una spiegazione? Pare di sì. Scomodando Einstein, si sa il tempo è relativo e spesso viene modellato a nostro piacere. Una tesi ulteriormente confermata da una ricerca la quale dimostra come le nostre aspettative tendano modificare in maniera sostanziale la percezione del tempo trascorso. E' tutto il risultato di ciò che la nostra mente percepisce sull'effettiva durata del tempo che passa.
La sensazione che il viaggio di ritorno sia sempre più breve di quello dell'andata viene appunto chiamata "effetto da viaggio di ritorno". La ricerca che si è occupata di spiegare questo fenomeno è stata condotta da Ryosuke Ozawa, Keisuke Fujii e Motoki Kouzaki, dell'Università di Kyoto. La lunghezza della strada è sempre la stessa, così come il tempo che si impega per percorrerla. Eppure l'andata e il ritorno vengono vissuti come due momenti completamente diversi a livello temporale.
Alcune prime spiegazioni a questa particolare sensazione erano state già date negli anni Cinquanta. La prima dice che la familiarità e la prevedibilità del tragitto del ritorno ci danno la sensazione che il tempo sembri scorrere più in fretta. La seconda conclusione dice che l'aspettativa ci rende inaccurati. Ad esempio, nel viaggio d'andata le aspettative sono spesso più alte, e spesso sottostimiamo anche la durata del tragitto che, magari per qualche imprevisto, sembra eterno. Al ritorno invece, la frustrazione tende a creare un'aspettativa negativa che sovrastima la durata del tragitto. Il viaggio verso casa risulta quindi più breve.
Questa percezione distorta del tempo reale si può provare viaggiando in auto, in treno, in bici, a cavallo, a piedi, purché ci siano due condizioni di base: la consapevolezza che ci sarà un ritorno e la non periodicità del tragitto.
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