ROMA. La geoingegneria potrebbe salvare le barriere coralline, tra gli ecosistemi più a rischio a causa del cambiamento climatico, meglio di quanto riuscirebbe a fare una drastica riduzione delle emissioni di CO2. La tesi emerge da uno studio pubblicato sulla rivista 'Nature Climate Change', in cui un team internazionale di ricercatori punta su una tecnica chiamata Solar Radiation Management, gestione delle radiazioni solari, che consiste nell'iniettare gas nella stratosfera per formare particelle microscopiche in grado di riflettere parte dei raggi solari e quindi di limitare l'aumento delle temperature superficiali dei mari.
L'innalzamento delle temperature, insieme all'acidificazione degli oceani, è la principale minaccia alla sopravvivenza delle barriere coralline, poiché causa il cosiddetto "sbiancamento" che può portare alla morte dei coralli. Stando agli esperti della Carnegie Institution for Science e dell'università di Exeter, anche centrando l'obiettivo più ambizioso dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sulla riduzione della CO2, entro la metà di questo secolo si assisterà a un severo e diffuso sbiancamento dei coralli.
"Le barriere coralline si trovano ad affrontare una situazione drammatica, a prescindere da quanto intensamente la società decarbonizza l'economia", spiega Peter Cox dell'università di Exeter. "Non c'è una scelta diretta tra la mitigazione convenzionale e l'ingegneria del clima, ma questo studio dimostra che o dobbiamo accettare come inevitabile la perdita di un'ampia percentuale di barriere coralline nel mondo, oppure dobbiamo cominciare a pensare oltre la mitigazione delle emissioni di CO2".
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