TOKYO. L'Associazione giapponese di zoo e acquari (Jaza) ha deciso di continuare ad aderire all'organismo internazionale (Waza) che aveva minacciato l'espulsione a causa delle «pratiche crudeli» con cui i delfini sono catturati in base alle contestate pratiche di Taiji, prefettura di Wakayama.
Al termine della riunione, i rappresentanti di circa 150 strutture nipponiche hanno assicurato che si adegueranno alle indicazioni date presentando modi alternativi per ottenere i delfini, attualmente oltre 200 ospitati in 34 parchi diversi.
I metodi di Taiji sono finiti nell'occhio del ciclone dopo il film-documentario «The Cove», vincitore del premio Oscar 2009, a opera di un veterano come Ric ÒBarry, che ha addestrato delfini per «Flipper», serie tv degli anni '60.
A Taiji i piccoli e intelligenti mammiferi sono spaventati, intrappolati nelle reti e ammassati in una insenatura dove inizia la selezione tra esemplari destinati a essere uccisi e venduti sui mercati e quelli da inviare ai parchi acquatici.
In una lettera alla Waza, il gruppo giapponese, che comprende 89 zoo e 63 acquari, si è impegnato a rispettare le prescrizioni dell'associazione mondiale. Una scelta obbligata visto che i rapporti e gli scambi a livello internazionale sarebbero stati difficili, fino a rendere impossibile, ad esempio, l'invio fatto negli anni scorsi dell'orsa polare Dea dallo zoo Safari di Fasano, in Puglia, al parco di Ueno, a Tokyo.
I funzionari e i pescatori del piccolo villaggio di Taiji hanno difeso la caccia, definita una tradizione vecchia di oltre 400 anni: inoltre, mangiare carne di delfino non è diverso dal consumo di carne di manzo o pollo. I gruppi di ambientalisti, come «Australia for dolphins», hanno da sempre sostenuto che la vendita della carne di delfino non fornisce sufficienti ritorni tali da giustificare la continuazione della pratica, mentre la vendita dei delfini ad acquari e parchi marini genera migliaia di dollari.
La decisione, tuttavia, rischia di assestare un durissimo colpo al business più remunerativo.
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