"Paghetta" alla moglie che sta a casa, così fanno i ricchi di New York: la scoperta di una sociologa
NEW YORK. Lo chiamano il «wife bonus», il bonus delle mogli. Tra le ricche signore di Park Avenue, sposate a capitani di industria e re degli hedge fund, viene pagato a fine anno con lo stesso spirito con cui vengono a fine anno premiati i consorti per il rendimento aziendale. La scoperta è di Wednesday Martin, una sociologa americana che nel 2004 si è trasferita con al famiglia nell'Upper East Side. Dove ha scoperto usanze inaspettate studiando un centinaio di madri incontrate ai caff', ai giardinetti, in palestra, all'uscita dell'asilo. Il «wife bonus» risponde agli stessi criteri della «tredicesima» pagata a fine anno ai CEO di un'azienda. Non tanto in base ai profitti quanto sulla performance dell'interessata: se ha amministrato bene il budget, se è riuscita a fare entrare i figli nelle migliori scuole private. E last but not least, se il consorte è stato soddisfatto a letto. Come per ogni tribù sociale (hippies, yuppies, GenX, Millennials) anche le mamme del «Richistan» di Manhattan hanno un nome: autrice di un libro di imminente pubblicazione, «Primates of Park Avenue», la Martin le chiama Glam SAHMs, l'abbreviazione per «glamorous stay-at-home moms». Le glamourous «mamme-che-stanno-a-casa» hanno lauree e dottorati da prestigiose università, ma una volta sposate con uomini dalle fortune esagerate, hanno buttato i titoli di studio alle ortiche per dedicarsi ai figli (tre o quattro di solito) e le case (tra 63esima e 94esima a ovest di Lexington Avenue e agli Hamptons) amministrate come un CEO. Competitive sulla prole e nel fitness, impeccabili nelle scelte di moda, sono state messe sotto la lente di ingrandimento come se fossero una remota tribù del Kalahari. «Vivono segregate in un universo solo femminile», ha scoperto la sociologa: «Serate ad alto tasso alcolico solo per ragazze, lunch tra loro, gala di beneficenza solo per donne, vacanze solo tra amiche: «È più divertente e più facile», hanno detto le «cavie dello studio, e i loro mariti sono d'accordo: Preferiamo così». Segregazione "per scelta"? La Martin, che ne ha scritto in un editoriale sul New York Times, ha i suoi dubbi: «Come le donne Dogon del Mali che 'scelgono' di chiudersi nella capanna mestruale?».