ROMA. Da Milano a Londra a Parigi imperversano fuori dalle sfilate: sono i blogger, ma quelli della seconda generazione, perché gli altri sono diventati a loro volta personaggi da fotografare, oppure si sono stancati di stare per strada. Il dramma è che le scuole di moda e design, anche in Italia, pare diano come compito ai ragazzi di andare a fare i blogger d'assalto perché sarebbe un modo moderno per capire la moda e addentrarsi nei suoi segreti. Ma è davvero così? Le case di moda non rispondono ufficialmente ma fanno sapere che per loro il fenomeno è ormai in fase calante e che si stanno restringendo inviti e regali dedicati al settore. Riconoscono che sulle loro spalle molti blogger sono diventati ricchi e famosi e che taluni sono stati tanto bravi da diventare imprenditori, si veda il caso dell'italiana Chiara Ferragni che ha perfino creato una sua linea di scarpe. Ma i marchi sanno anche che, per esempio, in Cina il fenomeno resterà a lungo importante soprattutto per allargare e diffondere il gusto e la passione per la moda. Tuttavia, secondo l'esperta danese Li Edelkoort, un'autorità nel fashion system, è anche per colpa dei blogger se "la moda è morta". Per la verità la si è data per defunta varie volte ma è sempre ritornata in vita come l'araba fenice. Comunque anche la Edelkoort se la prende con quella che chiama "generazione like" che ha una capacità di giudizio limitata al "mi piace" da mettere su facebook. A questo infatti si sarebbe ridotta la critica moda sui social network: i blogger non scelgono, dipendono dalle esortazioni dei grandi marchi. E se fino a pochi anni fa la pubblicità veniva considerata un pesante condizionamento sull'autonomia critica delle testate, ora i blogger sono addirittura dei cartelloni pubblicitari viventi, dei manichini che si fanno influenzare dal marketing e portano in giro le tendenze della maison.