PALERMO. «Ho sempre giocato nella mia vita, da quando avevo 16 anni. Ora ne ho 37. Anche mio padre giocava. Prima erano scommesse sui cavalli, poi gratta e vinci... Non ho capito affatto che era diventata una dipendenza. Perdevo, perdevo e pensavo solo a rifarmi per recuperare quello che perdevo... Non pensavo ad altro...».
Inizia così la storia di F., giocatore d’azzardo, in cura per guarire da quello che non è un vizio, come l’immaginario collettivo crede, ma una malattia, una vera e propria dipendenza. Come la droga o l’alcol o il fumo di sigaretta. Si sta curando al CeDiSS (Centro Dipendenze Senza Sostanze) dell’Unità operativa complessa Dipendenze patologiche dell’Asp 6 di Palermo e non è solo: attualmente, sono circa 700 le persone in terapia tra la città e la provincia. Ma c’è anche un mondo sommerso di giocatori - tanti - che ancora non hanno trovato la forza o il modo di provare a smettere.
Il fenomeno è in progressiva crescita. Nel 2013, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, la «Bibbia» di psichiatri e psicologi, ha inserito il gioco d’azzardo tra le dipendenze, non più nei cosiddetti disturbi del controllo degli impulsi. Di anno in anno, nel territorio palermitano i numeri dei giocatori patologici sono triplicati, con un’impennata nell’ultimo anno e mezzo. E pensare che i primi casi iniziarono ad arrivare nel 2001, quando non si aveva idea di cosa fosse il gioco d’azzardo, quando anche gli specialisti lo consideravano «una cosa assurda». In breve tempo, però, quegli episodi sporadici iniziarono ad aumentare e, nel 2006, l’allora Asl promosse il primo progetto per il gioco d’azzardo patologico, con un’équipe dedicata. Che raccoglieva testimonianze come quella di F.: «Ho perso il lavoro e mia moglie mi ha buttato fuori casa. Avevo perso tutto, non mi interessava più niente! É stata mia moglie a cercare chi poteva aiutarmi...».
Da quel momento, il carico di lavoro all’Asp è sensibilmente cresciuto. Ad esempio, sono stati redatti opuscoli informativi sul gioco che, in modo molto intuitivo, aiutano a capire se si ha un problema col gioco (sono reperibili sul sitowww.asppalermo.org). Ma non solo: sono stati organizzati incontri formativi, condotte ricerche. Nell’ambito di una di queste, relativa al 2012, è emerso un dato importante che riguarda i giovanissimi. Su 290 ragazzi tra gli 11 e i 17 anni assistiti dai servizi per le dipendenze (Ser.T., Attività Gap e Telemaco), 6 sono stati seguiti a causa di problemi relativi al gioco d’azzardo.
«In Sicilia - dice Giorgio Serio, direttore del Dipartimento di Salute mentale, dipendenze patologiche, neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Asp 6 - la situazione del gioco d’azzardo patologico desta particolare preoccupazione».
Le cose tuttavia non vanno meglio nel resto del Paese. Nel 2013, lo studio Espad (European School Project on Alcohol and other Drugs), condotto su circa 45 mila studenti di 500 scuole superiori italiane, ha dato risultati sconcertanti. Nell’ultimo anno, il 45,3 per cento degli studenti aveva giocato somme di denaro, con una prevalenza dei maschi rispetto alle femmine. Un quinto dei ragazzi aveva dichiarato di aver giocato somme di denaro più di venti volte nel corso dell’anno. «Come emergeva in precedenza - sottolinea Serio - nel 2012 si è giocato di più nelle regioni meridionali: oltre il 52 per cento degli studenti del Sud lo ha fatto. In Sicilia, la percentuale è del 49-54 per cento».
L’attenzione deve essere alta e lo è, a tutti i livelli: si fa prevenzione nelle scuole, informazione in generale, anche tra i commercianti (un generale aumento del gioco si è avuto da quando è cresciuta la varietà di giochi in bar o tabaccherie) e con le istituzioni. Il Comune di Palermo, ad esempio, sta lavorando ad un regolamento per disciplinare il gioco nei luoghi pubblici. E anche la Regione sta facendo la sua parte. Nei prossimi giorni, infatti, saranno emanate delle linee guida sul gioco d’azzardo, frutto di un attento lavoro di un tavolo tecnico misto. La Sicilia si pone all’avanguardia: non esiste nulla di simile sul territorio nazionale. E tutti si augurano che possa diventare esempio virtuoso per le altre regioni.
«Attualmente, nella Regione, per contrastare il fenomeno del gioco d’azzardo patologico, sotto il profilo della prevenzione, si conducono numerose iniziative per promuovere la corretta informazione a favore di diversi target, spesso tra loro non coordinate. Pertanto, era necessaria a livello regionale un’azione di raccordo, per sfruttare le possibili sinergie operative, evitare la frammentazione degli interventi e valutare la loro efficacia a medio e lungo periodo, contrarre i costi e, soprattutto, trasmettere messaggi e favorire comportamenti univoci e condivisi», commenta Salvatore Requirez, responsabile del Servizio 2 - Promozione della salute del Dipartimento per le attività sanitarie e osservatorio epidemiologico della Regione, che avrà il ruolo di indirizzo e coordinamento.
Tra gli obiettivi ridurre l’incidenza dell’azzardo patologico, incrementare abitudini al gioco sano e responsabile, fare informazione sui rischi, aumentare il numero di persone intenzionate a smettere. Il tutto con indirizzi omogenei e uniformità di linguaggio e contenuti. «Il problema della prevenzione delle dipendenze è complesso - dichiara Serio -. Non si riesce sempre ad incidere sulle abitudini e sugli stili di vita della gente. Ecco perché le linee guida sono fondamentali: tracciano un percorso comune. Chiunque si sente autorizzato a fare prevenzione nelle scuole, ma non è detto che segua un ragionamento con basi scientifiche». Ben venga quindi l’inserimento del gioco nei Lea, i livelli essenziali di assistenza forniti gratuitamente dal Sistema sanitario nazionale. «Era necessario, è un grande traguardo», afferma Serio.
Altro obiettivo, a livello regionale, è lo sviluppo di Reti integrate territoriali. Per far sì che siano sempre più rare le storie come quella di F.. Che lancia il suo personale appello, rivolto per lo più ai giovani: «Fate attenzione: giocare non è come sembra, non è ”solo un gioco“. È un pericolo».
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