ROMA. Rispetto a un secolo fa, nei mari della Terra ci sono i due terzi in meno dei pesci più grandi, cioè di predatori come tonni e squali, vittime di una pesca eccessiva. Il 54% della perdita di stock ittici, infatti, si è verificato negli ultimi 40 anni, cioè dall'inizio della pesca industriale negli anni Settanta. Lo evidenzia uno studio condotto da un team internazionale di ricercatori, secondo cui il fenomeno ha conseguenze sull'intera catena alimentare. Gli studiosi hanno preso in esame 200 modelli per la simulazione degli ecosistemi marini dal 1908 al 2007, analizzando 68mila stime sulla biomassa ittica in diverse parti del mondo e in diversi periodi temporali. I dati dell'indagine, pubblicata sulla rivista Marine Ecology progress Series, hanno evidenziato il crollo dei grandi predatori nell'ultimo secolo, che i ricercatori hanno attribuito a una pesca eccessiva di tonni, squali, pesci spada, cernie e razze. La conseguenza sulla catena alimentare, spiegano, è il proliferare delle prede di questi grandi pesci, cioè pesci di taglia piccola e meduse. Sardine e acciughe, ad esempio, hanno visto raddoppiare il proprio numero nel corso dell'ultimo secolo. Più in generale gli oceani, che prima erano dominati dai grandi pesci, ora sono stati trasformati in spazi dove a dominare sono i pesci piccoli, i quali si caratterizzano per un ciclo di vita più breve e sono più vulnerabili ai cambiamenti ambientali.