MILANO. «L'elicicultura è una pratica molto antica in Sicilia e la nostra lumaca accattiva il palato degli europei», dice Alessandro Chiarelli della Coldiretti. «Ma non bisogna farsi sfuggire l'opportunità che l'attuale realtà sta dando. Sono l'innovazione e il coraggio a fare oggi la differenza. Non usare pesticidi, formarsi in continuazione attingendo novità e non perdere di vista il mercato. Se le fattrici sono oggi vendute a numero, sicuramente il guadagno è elevato. Ma ne produciamo ancora troppo poco». Interesse in crescita, ma non siamo in grado di equilibrare la domanda. «Il prodotto arriva appena al 10-15% del nostro fabbisogno. In Sicilia si stanno investendo centinaia di migliaia di ettari. Solo se aziende più strutturate si apriranno all'innovazione, si potrebbe dare il giusto apporto numerico domanda-offerta». E se la bilancia di pagamento è ancora in deficit, «per essere noi autonomi, dobbiamo produrne di più», riscoprendo le antiche tradizioni che la Sicilia ha. Nascono lumacai, la carta dei menu si allarga alla chiocciola e il caviale «diventa un prodotto molto interessante per noi. Ma non si deve smettere di fare ricerca». E se l'acqua, il clima, il particolare habitat hanno portato successo a chi si è abilmente cimentato in tale allevamento, «l'attenzione a migliorare non deve mai cessare. La lumaca è facilmente attaccabile dai rapaci, delicata e necessita di molte cure. Quella autoctona accattiva il palato degli europei perché più tenera e piccola». Certo è che «allevarle è tutt'altro che cosa semplice», ma la giusta condotta potrebbe davvero creare reddito. «Se il mercato estero richiede il nostro prodotto, non si deve mollare».