ROMA. Il riscaldamento globale mette sotto scacco le barriere coralline di tutto il mondo: ora però un nuovo studio rivela quali coralli hanno più probabilità di salvarsi e riprendersi dopo episodi di sbiancamento. Lo riporta l'ultimo numero di Nature.
Esaminando dati raccolti in oltre 17 anni di indagini, una equipe di ricerca della James Cook University australiana, ha individuato quali fattori hanno influenzato o meno il recupero delle barriere coralline dopo episodi di sbiancamento. E' stata studiata, in particolare, la barriera corallina in 21 diversi siti nella zona delle Seychelles, che era stata particolarmente colpita da fenomeni di sbiancamento nel 1998. Si è giunti alla conclusione che i due fattori principali che condizionano il recupero sembrano essere la profondità e la complessità fisica del corallo: per questa ragione il recupero "è altamente probabile" se i coralli si trovano in siti profondi (almeno 6,3 metri) ed in aree protette. Un risultato che secondo i ricercatori potrebbe spingere gli ambientalisti e le organizzazioni ad indirizzare i propri sforzi per proteggere le parti di scogliere che sono più facilmente recuperabili.
Lo studio mette inoltre sotto accusa lo scarico di sedimenti in mare - provocato ad esempio da progetti di espansione portuale - che potrebbero "danneggiare coralli che altrimenti sarebbero in grado di sopravvivere ai cambiamenti climatici".
"Questo studio suggerisce che si possono adottare misure concrete per migliorare le prospettive delle barriere coralline - ha commentato Aaron MacNeil, coautore dell'analisi - Gestendo con attenzione le scogliere che hanno più probabilità di tornare alla normalità dopo fenomeni di sbiancamento causati dai cambiamenti climatici, diamo loro la migliore possibilità di sopravvivere nel lungo periodo, mentre la riduzione dei fattori che danneggiano i coralli e diminuiscono la qualità delle acque contribuirà ad aumentare la percentuale di barriere che possono riprendersi".
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