ROMA. Lo sforzo globale per combattere i cambiamenti climatici dovrà necessariamente includere anche una dieta meno 'carnivora. A sollevare il problema è uno studio del think tank Chatham House, che punta il dito sui negoziati in corso alla maxi-conferenza Onu di Lima, dove il tema non compare nemmeno in agenda.
«Nel momento in cui i piani della comunità internazionale prendono forma, emerge un vuoto e sfortunatamente si tratta di un vuoto significativo» afferma Rob Bailey, autore dello studio, secondo cui «il settore degli allevamenti di bestiame è responsabile di quasi il 15% delle emissioni globali - simili a quelle prodotte da tutte le automobili, camion, aerei, treni e navi nel mondo - eppure brilla per la sua assenza dalle strategie nazionali o internazionali per il taglio delle
emissioni».
Gli allevamenti costituiscono la principale fonte di metano e ossidi di azoto, potenti gas serra. Al top del consumo di carne attualmente si trovano Cina, Unione europea, Usa e Brasile, mentre quello di latticini vede in pole Cina, India, Ue e Usa. Con il trend attuale, i consumi di carne e latticini non faranno altro che aumentare, rispettivamente del 76% e del 65% per il 2050 rispetto al periodo 2005-2007, contro una crescita del 40% nel caso dei cereali.
Cambiare le abitudini alimentari, si difendono i governi, è estremamente complesso. Per vederci chiaro allora Chatham House ha commissionato un'indagine online in Italia e altri 11 Paesi (Brasile, Cina, Francia, Germania, India, Giappone, Polonia, Russia, Sud Africa, Gran Bretagna e Usa). Il risultato che emerge in fondo è semplicemente quello di una spiccata ignoranza del problema. L'83% degli intervistati sono concordi nell'affermare che le attività umane contribuiscano ai cambiamenti climatici, con punte oltre il 90% di italiani, brasiliani e cinesi.
Un fattore importante, considerando che i più convinti sono anche quelli maggiormente disponibili a cambiare abitudini alimentari. Il 64% degli intervistati però ha identificato nel settore dei trasporti uno dei maggiori responsabili delle emissioni di gas serra, contro appena il 29% nel caso di quello della produzione di carne e latticini. Un quarto del campione sostiene addirittura che questa industria contribuisca poco o nulla ai cambiamenti climatici.
Nelle scelte dei consumatori, l'acquisto della carne è certamente più condizionato da gusto, prezzo, sicurezza
alimentare e salute, che non dagli effetti 'indirettì sul clima. Non per tutti però è un argomento indifferente. I
'carnivorì meno sensibili alla motivazione ambientale sono risultati russi (6%), statunitensi (26%) e polacchi (29%),
quelli più attenti invece sono risultati brasiliani (65%), italiani (59%)e sudafricani (57%).
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