Cu nesci, arrinesci: più che un motto, una sentenza. Ovvero, «chi se ne va, fa fortuna». L'emigrazione dei lavoratori qualificati, siano studiosi, attori, giornalisti o uomini di cultura, è una pietra al collo per la modernizzazione della Sicilia. Ma è anche vero che troppe volte è proprio l'Isola a farsi scappare le menti migliori.
Eclatante, ad esempio, il caso dell'archeologo trapanese Clemente Marconi, professore all'Institute of Fine Arts alla New York University, famoso nel mondo per i suoi studi sulle metope, i rilievi che ornavano i templi greci. Nel 1999 aveva domanda come archeologo all'assessorato dei Beni Culturali di Palermo ma, con una lettera recapitata molti anni più tardi, lo si informava che «non aveva i requisiti per entrare nello staff dell'assessorato Beni Culturali».
Ma se emigrare all'inizio del ’900 era quasi l'unica prospettiva per quelli della Bassa Italia, come gli abitanti settentrionali etichettavano il Meridione, per trasformare l'identità in sviluppo, bisognerebbe che la linfa tornasse alle radici. Ma tra cuore e ragione (e soprattutto opportunità) casi inversi sono anche possibili. Due su tutti: il veneto di Gambellara Gianni Zonin e il friuliano di Sevegliano Maurizio Zamparini.
Il primo, sbarcato in Sicilia nel 1997 e poi nel 2000 sempre nel Sud, nel Salento pugliese, è il vero pioniere della nuova frontiera del vino italiano che ha fatto dell'enologia «made in Italy», anzi, «in Sicily» la punta di diamante della sua produzione di qualità. Il secondo, invece, è un «siciliano purosangue acquisito» dal 2002 ovvero l'anno in cui decise di comprare da Franco Sensi il pacchetto azionario di maggioranza (15 milioni di euro) della squadra di calcio palermitana.
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