ROMA. Per salvare la biodiversità servirebbero dai 45 ai 76 miliardi di dollari all'anno, necessari a gestire le oltre 150 mila aree protette del Pianeta. La cifra, a prima vista non indifferente, rappresenta solo il 2,5% della spesa militare mondiale. In tempi di crisi, invece, diversi governi stanno tagliando i fondi per l'ambiente, nonostante gli impegni presi a livello internazionale. E così la natura è sempre più a rischio, costretta a fronteggiare con minori risorse le sfide in aumento che arrivano dalla crescita demografica, dal cambiamento climatico e dal consumo di terreni e foreste da parte dell'uomo. A lanciare l'ennesimo allarme, in vista del World Parks Congress 2014 che si terrà a Sydney la settimana prossima, è l'Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) insieme alla Wildlife conservation society. In uno studio pubblicato su 'Nature', gli esperti spiegano che le aree protette coprono 18,4 milioni di km quadrati, il 12,5% del totale, cui si aggiungono 10,1 milioni di km quadrati di aree marine, pari al 3% degli oceani. La Convenzione sulla diversità biologica ha fissato come obiettivo per il 2020 il raggiungimento del 17% delle terre emerse e del 10% dei mari. Il target appare lontano quanto necessario, perché le aree attuali non ospitano tutte le specie minacciate. Oggi solo il 22% dei siti dove vivono gli ultimi esemplari di specie a rischio sono compresi in un'area protetta. Ad aggravare la situazione, il fatto che solo un quarto delle aree protette viene gestito in modo efficace. Di elefanti africani e rinoceronti di Sumatra, ad esempio, ce ne sono sempre meno anche nelle zone in cui, sulla carta, queste specie sono tutelate. Una buona gestione salverebbe la biodiversità, ma non solo: le aree protette contribuiscono al sostentamento di comunità locali, spingono le economie nazionali con il turismo e giocano un ruolo chiave nell'attenuazione del cambiamento climatico. Ma perché ciò accada servono risorse. Se quelle messe in campo finora sono spesso insufficienti, sottolineano gli esperti, molti governi stanno tagliando malgrado gli impegni presi. Negli Usa dal 2009 al 2013 il budget a disposizione della rete nazionale dei parchi si è ridotto del 13%. In Canada la spesa è stata tagliata del 15% a 800 milioni di dollari locali, nonostante i parchi generino entrate per 4,6 miliardi. In Australia il parco marino della grande barriera corallina nel 2013 ha avuto 50 milioni di dollari australiani, mentre dal turismo in quell'area sono venuti 5,2 miliardi. Entrate ora a rischio proprio per il progressivo degrado della barriera. ''Un cambiamento radicale nel modo in cui valutiamo, sosteniamo e gestiamo le aree protette non è né impossibile né irrealistico, e rappresenterebbe solo una frazione di quello che il mondo spende ogni anno per gli armamenti'', evidenzia James Watson della Wildlife Conservation Society. La chiave, spiega la direttrice generale dello Iucn Julia Marton-Lefèvre, è che ''le nazioni riconoscano il ritorno d'investimento offerto dalle aree protette e si rendano conto che quei luoghi sono fondamentali per il futuro della vita sulla terra''.