ROMA. Cosa succede quando dai la possibilità agli studenti di un campus universitario di 'messaggiare' tra loro in maniera completamente anonima? Ottieni 100 mila utenti in tre mesi e 15 mila messaggi al giorno. È il risultato ottenuto da 'Yik Yak', la startup fondata nel novembre del 2013 da Tyler Droll e Brooks Buffington, due studenti poco più che ventenni della Furman University negli Stati Uniti. Stanno cercando di ripercorrere la strada «dal campus a voler connettere il mondo» che ha ispirato Mark Zuckerberg per Facebook. Mentre lo stesso 'social in blu' da oltre un miliardo di utenti sta seguendo, un po' in ritardo, il 'trend' dell'anonimato sul web.
L'applicazione disponibile gratuitamente su Apple store e Google play è, di fatto, una bacheca digitale che 'acchiappa' gli utenti iscritti che si trovano in un raggio di circa due chilometri e mezzo. In questo modo gli studenti, e non solo, possono inviare e visualizzare commenti e opinioni su cose, persone, luoghi, professori, lezioni e altro in maniera assolutamente anonima. I messaggi, chiamati 'yak', possono essere votati e commentati, sancendo la popolarità del post. L'app, inoltre, offre la funzione 'sbirciatinà, grazie alla quale gli utenti possono guardare cosa sta accadendo negli altri campus. «Nessun profilo, nessuna password, è tutto anonimo» è uno degli slogan della startup che chiede, però, ai propri iscritti di aver superato i 17 anni e l'autorizzazione ad essere geolocalizzati, condizione imprescindibile per accedere alle 'bacheche di zona'.
Yik Yak sta dunque ricalcando le orme del più famoso dei social, Facebook, e dalle università pian piano si sta spostando in tutti gli altri ambiti della vita sociale trascinandosi dietro non poche polemiche. L'anonimato, principale motivo del successo dell'applicazione, rappresenta un problema non di poco conto. Genitori, insegnanti, e alcune associazioni di studenti accusano infatti Yik Yak di violare le norme anti bullismo, vigenti negli Stati Uniti, non vigilando abbastanza su ciò che viene pubblicato. I messaggi, infatti, vengono censurati solo quando più utenti segnalano il contenuto come inappropriato o offensivo.
Non solo cyber-molestie, l'anonimato può causare brutti scherzi. Pochi giorni fa, l'11 ottobre, tramite la piattaforma, è stato infatti diffuso un falso allarme bomba nel campus dell'Università del Nebraska. In questo caso, in barba all'anonimato, sono intervenute le forze dell'ordine, risalendo allo studente diciannovenne che è stato accusato del reato di procurato allarme.
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