Venerdì 15 Novembre 2024

Studio sui meccanismi apre nuovi scenari per l'Alzheimer

La formazione della memoria e lo sviluppo di ansia condividono alla base un meccanismo comune. A far luce è uno studio italiano che ha osservato i meccanismi con cui il sistema immunitario e il sistema nervoso centrale comunicano per regolare importanti funzioni cerebrali come l'apprendimento e i comportamenti ansiosi. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, aprono nuovi scenari per malattie come l'Alzheimer. Utilizzando un modello sperimentale animale, il gruppo di ricerca, coordinato dal Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia dell'Università La Sapienza di Roma, ha scoperto che alcune popolazioni di cellule immunitarie risiedono stabilmente nelle meningi cerebrali (i linfociti Natural Killer e le cellule linfoidi innate di tipo 1). «Abbiamo visto - spiega la coordinatrice dello studio Cristina Limatola - che l'eliminazione selettiva di queste popolazioni cellulari dalle meningi del topo, attraverso la somministrazione di specifici farmaci, modifica alcuni comportamenti legati alla formazione della memoria non spaziale e all'ansia. Abbiamo descritto i meccanismi responsabili di questi effetti, identificando due diverse vie di segnalazione: una mediata dall'interferone gamma e l'altra dall'acetilcolina. Queste due molecole mediano la comunicazione tra cellule neuronali e i livelli di alcuni neurotrasmettitori nel cervello. In particolare, l'interferone-γ è coinvolto nella formazione della memoria non spaziale mentre l'acetilcolina regola i circuiti cerebrali coinvolti nell'ansia». I risultati del lavoro aprono nuovi scenari nello studio delle vie di comunicazione tra sistema immunitario e sistema nervoso centrale. Una conoscenza approfondita dei meccanismi con cui si formano le memorie o si sviluppano comportamenti ansiosi può essere utile, inoltre, per la prevenzione o il trattamento di condizioni come l'Alzheimer, malattie psichiatriche o del neurosviluppo. Proprio l'Alzheimer si può «intravedere» dagli occhi sia prima che si manifesti, sia in fase conclamata. Uno studio americano, il primo ad aver analizzato tessuti della retina e cerebrali donati da una novantina di pazienti colpiti dalla patologia o da altre forme di demenza, ha identificato alterazioni nella retina e la netta diminuzione di alcune cellule nelle persone con declino cognitivo. Condotta all'ospedale Cedars-Sinai di Los Angeles, la ricerca - ha spiegato l'autrice, Koronoyo-Hamaoui - «è la prima ad aver analizzato l'impatto della malattia sul profilo molecolare, cellulare e strutturale della retina. Ed il suo rapporto con le demenze».

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