ROMA. Si allarga sempre più la rosa delle potenziali proteine alimentari 'colpevoli' di disturbi simili alla celiachia e all'intestino irritabile.
Se finora l'indice è stato puntato contro il glutine, di recente sul banco degli imputati sono comparse anche altre proteine del grano.
Ma ad allargarsi in modo preoccupante è il numero delle autodiagnosi di sensibilità al glutine, «ormai una moda fuori controllo in alcuni paesi, come gli Stati Uniti».
È l'allarme della Società italiana Gastroenterologia (Sige) che invita a «rivolgersi sempre allo specialista e a lasciare da parte il 'fai-da-te', che può rivelarsi pericoloso».
La celiachia è un'intolleranza al glutine che attiva una risposta immunologica in persone geneticamente predisposte e interessa almeno un italiano su 100. Mentre in questo caso i criteri diagnostici sono chiari, più controversa è la diagnosi di 'sensibilità al glutine non celiaca'.
«Quando non ci sono gli elementi per far diagnosi di celiachia ma la persona riferisce che i suoi sintomi sono alleviati o scompaiono a dieta senza glutine, questa persona si auto-definisce 'intollerante' al glutine o affetto da 'sensibilità al glutine di tipo non celiaco'», spiega Carolina Ciacci, ordinario di Gastroenterologia dell'Università di Salerno.
Tra disturbi 'di moda' e problemi reali, molti di quelli che si auto-diagnosticano una 'sensibilità al glutine non celiaca' però possono essere in realtà dei veri celiaci e come tali vanno inquadrati e seguiti da un medico.
La raccomandazione quindi è «niente autodiagnosi».
«In un mondo sempre più dominato da mitologie dietetiche fomentate da una informazione ad alta flusso, di facile accesso ma non sempre attendibile - sottolinea Antonio Craxì, presidente della Sige - il ruolo di una società scientifica è quello di fornire al pubblico la visione più aggiornata, comprensibile e nel contempo bilanciata su quanto la ricerca scientifica ma anche le mode del momento pongono all'attenzione».
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