Si dimette il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, arriva Lina Di Domenico
Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Russo si è dimesso e al suo posto andrà la sua attuale vice, Lina Di Domenico (nella foto), nipote di Giuseppe Falcone (ex vicecapo del Dap) che è stata in precedenza magistrato di Sorveglianza a Novara e che è la prima donna a dirigere il Dipartimento che si occupa delle carceri. Russo dovrebbe andare a svolgere l’incarico di consigliere giuridico alla Farnesina. L’avvicendamento al Dap non è ancora ufficiale ma sarebbe legato - lo sostiene il Sappe - anche ai difficili rapporti tra Russo e il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. «Tra Russo e Delmastro non era mai scattato quel feeling indispensabile tra politica ed amministrazione per lavorare insieme di pari passo», sottolinea infatti il sindacato. Quando alla Di Domenico, il Sappe ricorda che proprio 30 anni fa su quella poltrona si sedeva lo zio, il magistrato fatto saltare in aria dalla mafia a Capaci assieme alla sua scorta. Considerata la concomitanza delle festività natalizie, l’iter potrebbe essere più lungo del normale e, sempre secondo i sindacati, non ci dovrebbe essere «alcun riscontro del Csm prima del 7 gennaio». È dunque da verificare se Giovanni Russo la prossima settimana presenzierà, come era atteso, ad uno degli appuntamenti più importanti del Giubileo: l’apertura della Porta Santa da parte di Papa Francesco al carcere romano di Rebibbia la mattina del 26 dicembre. Russo, proprio questa settimana, aveva presentato in Vaticano, assieme al cardinale José Tolentino de Mendonca, un progetto d’arte per l’Anno Santo che vede proprio il coinvolgimento dei detenuti, dopo il lavoro che era stato già condotto, sempre insieme alla Santa Sede, per la Biennale di Venezia, con il padiglione vaticano ospitato nel carcere della Giudecca, visitato anche dal Papa lo scorso 28 aprile. Ma il nome di Giovanni Russo è anche al centro delle polemiche scoppiate per la vicenda dei dossieraggi nei confronti dei politici, che ha portato la procura di Perugia ad indagare l’ex magistrato Antonio Laudati e il finanziere Pasquale Striano. Prima di andare a dirigere il Dap il magistrato era infatti il coordinatore del Servizio di contrasto patrimoniale della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, nel cui ambito c’era proprio l’ufficio Segnalazioni di operazioni sospette. «La mia cautela era quella di riportare tutte le funzioni che avvenivano nella Dna nell’ambito delle regole prefissate», disse nell’audizione alla Commissione antimafia. E aggiunse, mettendolo anche a verbale a Perugia, di aver segnalato già nel 2020 presunte ‘anomaliè nel comportamento di Striano all’allora procuratore nazionale Federico Cafiero de Raho. «Io quell’atto non l’ho mai visto» ha replicato quest’ultimo, nei cui confronti i commissari di centrodestra hanno da tempo ingaggiato una battaglia per le dimissioni.