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Pd Sicilia, il presidente Ferrante si è dimesso: «Il partito è l'ombra di se stesso»

L'addio apre una crepa proprio nel momento in cui sta scattando la fase organizzativa del congresso. Barbagallo: «Durante il mio mandato mi sono battuto per rinnovare la classe dirigente»

Antonio Ferrante non è più il presidente del Pd siciliano. Si è dimesso oggi, aprendo una dura polemica con il gruppo dirigente del partito.
Lo ha fatto inviando una lettera al segretario regionale, Anthony Barbagallo, nella quale usa toni molto aspri: «Il Pd è un partito ormai ombra di sé stesso lacerato dalle divisioni interne».

Le dimissioni di Ferrante aprono una crepa proprio nel momento in cui sta scattando la fase organizzativa del congresso del Pd, previsto per l'inizio dell'anno prossimo. Ferrante ha sottolineato nella lettera che il partito «e proiettato già, elmetti in testa, verso un congresso che sin dalle prime battute appare come una guerra fratricida, prima che un confronto democratico per scegliere la classe dirigente. Un scontro all'ultimo sangue più feroce di quello con le destre, che dovrebbero essere le nostre vere avversarie e alle quali, governo Schifani in primis, dedichiamo critiche con tanto di guanti di velluto».

Poi Ferrante parla della destra: «Oggi più che mai con i peggiori governi della storia, tanto in Sicilia quanto nel Paese, occorrerebbe unità e condivisione, qualità che difettano nel nostro partito perché soffocate dai personalismi e dalle logiche di schieramento interno. In questo quadro i dirigenti non eletti e gli organismi territoriali appaiono sempre di più foglie di fico in continuo assottigliamento, basta verificare quanti circoli ancora esistono oltre qualche chat, quanti componenti delle varie assemblee e direzioni ancora partecipano o addirittura risultano iscritti. Un quadro desolante puntualmente coperto dietro l'opportunistica frase ripartiamo dai circoli e dai territori».

Alle critiche di Ferrante ha risposto Barbagallo: «Durante il mio mandato mi sono battuto per rinnovare la classe dirigente del Pd, dando ampio spazio ai giovani e valorizzando anche le attività sui territori attraverso i circoli. Sono profondamente amareggiato per la scelta di Antonio Ferrante perché in questi 4 anni di intensa attività politica abbiamo sempre condiviso progetto e obiettivi. Ritengo le questioni poste serie e necessarie di approfondimento. Mi auguro che la direzione respinga le dimissioni e che, anche con un dibattito franco, si possa riprendere il percorso che ci porterà al congresso per il rinnovo di tutti gli organismi».

Non sarà operazione facile, fari rientrare le dimissioni: «Questo siamo, un partito di solisti eletti che fanno squadra per ragioni di posizionamento interno, capaci di scoraggiare i tanti che, fuori da palazzi e correnti, provano ad organizzare eventi per dare voce a chi non ne ha. Perché ciò che conta è un palco alle feste dell’Unità, anche se spesso sono i più i relatori che gli spettatori, la cui media anagrafica dovrebbe terrorizzare e costringere ai mea culpa i dirigenti di qualsiasi partito, figuriamoci della prima forza riformista del Paese».

Proprio la festa dell'Unità organizzata i contemporanea a una scuola politica cara a Ferrante sarebbe stata la miccia che ha fatto esplodere la polveriera: “Ho trovato inaccettabile l’indifferenza, se non addirittura il boicottaggio, di quella che nelle intenzioni doveva essere la prima summer school del Pd Sicilia, un evento che avrebbe segnato una certezza oltre ogni classe dirigente e lanciato il messaggio che il partito vuole che i propri giovani sognino da leader prima che aspirare a fare i portaborse. Se poi si arriva addirittura ad organizzare in contemporanea una festa dell’Unità nella stessa provincia appare chiaro l’obiettivo di far passare in secondo piano un’iniziativa fondamentale in nome delle scaramucce precongressuali che non risparmiano neanche le nostre e i nostri ragazzi, come sempre vittime finali dei nostri errori».

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