Finisce così, in una tiepida giornata di inizio settembre, l’estate rovente del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, giunto ad un passo dal giro di boa dei due anni alla guida del ministero e con una fulgida carriera politica nel suo futuro. Finisce picconato da una brillante donna in carriera, una giovane imprenditrice di Pompei che lo ha crocifisso mediaticamente con uno stillicidio di rivelazioni social, fatto di foto e documenti pubblicati con l’intento di «vendicare» la promessa tradita di nominarla sua consulente per i grandi eventi, traghettarla nel dorato mondo del potere.
Lo showdown è veloce quanto crudele. Nonostante la pubblica ammenda in tv, che gli è costata il prezzo di mostrare davanti a oltre 3 milioni di italiani le lacrime per aver tradito la consorte. Nonostante l’iniziale sostegno della premier, che gli aveva dato fiducia chiedendogli un serio atto di «verità», alla fine non ha potuto che arrendersi. Glielo ha consigliato l’avvocato, il professore salernitano Silverio Sica, arrivato a Roma in suo soccorso per studiare la strategia legale di contrattacco.
«Le dimissioni? Potrebbe recuperare la sua libertà di azione tornando a essere un libero cittadino», il commento del legale. Ma lo ha richiesto la premier, che ha dovuto alzare le mani davanti ad uno scandalo che non accennava a finire e di fronte al pericolo che si tramutasse in ipotesi di reato. E su cui anche la Corte dei Conti ha acceso un faro.
«Ringrazio sinceramente Gennaro Sangiuliano, una persona capace e un uomo onesto» gli ha detto la premier accettando la lunga lettera di dimissioni presentata dal ministro, in cui la ringrazia a sua volta per l’affetto dimostrato e per averlo difeso «con decisione».
Lascia il ministero in silenzio (nella foto la sua uscita dal dicastero), dopo aver inviato ai colleghi di governo in chat un abbraccio «in lacrime». Ma nella lettera di dimissioni rivendica il lavoro fatto, si dice «fiero» dei risultati raggiunti. «Questo lavoro - sottolinea Sangiuliano - non può essere macchiato e soprattutto fermato da questioni di gossip». E poi, afferma, «ho bisogno di tranquillità personale, di stare accanto a mia moglie che amo, ma soprattutto di avere le mani libere per agire in tutte le sedi legali contro chi mi ha procurato questo danno».
Il suo lavoro verrà ereditato da Alessandro Giuli, un altro giornalista, un altro stimato esponente dell’area di destra, un intellettuale che era già stato in predicato per il Collegio Romano e che proprio Sangiuliano aveva chiamato a dirigere il Maxxi, il museo nazionale di arte contemporanea di Roma.
Sarà lui, ha promesso Meloni, che proseguirà «l’azione di rilancio della cultura nazionale, consolidando quella discontinuità rispetto al passato che gli italiani ci hanno chiesto e che abbiamo avviato dal nostro insediamento ad oggi».
Anche se in modo traumatico e per certi versi inaspettato, dopo l’altalena di indiscrezioni sulle sue dimissioni, si chiude una vicenda imbarazzante per il governo. Potrebbe alla fine risultare una semplice questione di gossip di fine estate, ma anche su questo l’ultima parola rischia di darla Maria Rosaria Boccia. Dopo aver svelato su La Stampa nuove indiscrezioni, in cui ribadisce che il ministro era «sotto ricatto», e lasciato nuovi indizi («da chi? posso dire che ci sono direttori di settimanali»), l’imprenditrice va in tv, a In Onda su La7.
Confessa di essere un’elettrice di Giorgia Meloni, «è una donna in gamba» dice anche se nel colloquio con La Stampa l’aveva accusata di aver usato nei suoi confronti «comportamenti sessisti».
Anche lei, però, si dice dispiaciuta dell’esito della vicenda: «Non sono contenta, assolutamente, lui meritava quel posto, è una persona molto competente, secondo me anche una brava persona». Ha sbagliato a lasciare? «Forse oggi dopo tutta la tempesta mediatica era necessario, però poteva non farlo, dicendo la verità fin dall’inizio».
Persone:
Caricamento commenti
Commenta la notizia