La scomunica era annunciata: monsignor Carlo Maria Viganò, ex diplomatico del Vaticano che è stato anche responsabile della prestigiosa Nunziatura negli Stati Uniti, è fuori dalla Chiesa cattolica. Lo ha deciso il dicastero della dottrina della fede. «Sono note le sue affermazioni pubbliche dalle quali risulta il rifiuto di riconoscere e sottomettersi al Sommo Pontefice, della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti e della legittimità e dell’autorità magisteriale del Concilio Ecumenico Vaticano II», sottolinea l’ex Sant’Uffizio. Per Viganò è dunque scattata la scomunica latae sententiae, automatica, per il solo fatto di avere commesso il delitto di scisma. Lui d’altronde, convocato dalla dottrina della fede per il processo penale extragiudiziale deciso a suo carico, aveva deciso di non presentarsi e non difendersi. «Non riconosco l’autorità né del tribunale che pretende di giudicarmi, né del suo prefetto, né di chi lo ha nominato», aveva scritto qualche giorno fa in un lungo comunicato intitolato «J’accuse». Ribadiva tutta la sua avversità a Papa Francesco, ribaltando la denuncia: «Io accuso Jorge Mario Bergoglio di eresia e di scisma, e come eretico e scismatico chiedo che venga giudicato e rimosso dal Soglio che indegnamente occupa da oltre undici anni». Ed oggi, a scomunica comminata, tira dritto per la sua strada celebrando la messa e chiedendo offerte per la sua fondazione, «in modo particolare per la formazione tradizionale di sei giovani seminaristi». In questo modo sembra confermare anche la circostanza di volere fondare una sua chiesa. La scomunica è la pena più grave nel diritto canonico perché sancisce che un battezzato in pratica non fa più parte della Chiesa. Non è una censura perpetua perché, se la persona che ha commesso il delitto di scisma (ma si può essere scomunicati anche in caso di eresia o apostasia) si pente sinceramente la pena può essere rimossa. E la Chiesa lo ha fatto anche nel recente passato, per esempio revocandola all’ex gesuita Marko Rupnik accusato di abusi da diverse religiose. Nel caso di Viganò, precisa oggi l’ex Sant’Uffizio, una decisione del genere spetta alla Sede apostolica. Immaginare una marcia indietro da parte di Viganò risulta però difficile. E se dovesse proseguire nella sua personale ’crociatà contro il Papa, si potrebbe arrivare anche alla sua dimissione dallo stato clericale. In altri termini rischia anche di non essere più vescovo e sacerdote. Si chiude così, almeno al momento, la lunga serie di ostilità lanciate da Viganò contro il Papa ma anche contro il Vaticano e la Chiesa italiana. In queste settimane l’ex Nunzio non sembra avere raccolto molta solidarietà, a parte quella di alcuni blog ultra-tradizionalisti. Anche i Lefebvriani, nati anche loro a seguito della scomunica per scisma del loro fondatore (Marcel Lefebvre), hanno preso le distanze da Viganò. Lui d’altronde aveva ampliato a dismisura il suo raggio di invettive, dai gay ai vaccini anti-Covid. «Siamo nella battaglia tra figli della luce e figli delle tenebre», scriveva nel 2020 all’allora presidente Usa Donald Trump. Ma il tycoon, di nuovo in corsa per la Casa Bianca, non è intervenuto, almeno al momento, in suo soccorso.