Lunedì 23 Dicembre 2024

Carenza di medici, il governo della Regione Siciliana punta sul bonus di frontiera

Potrebbe passare alla storia come «blocca medici», o viceversa, a seconda dei punti di vista, «porta medici», perché sebbene il risultato sia ancora tutto da raggiungere, l’intento quello è: trattenere o trasferire (motu proprio) i camici bianchi nei nosocomi di frontiera - leggi zone disagiate - o negli ospedali che presentano carenze di organico, attraverso un incentivo economico che può arrivare fino a mille euro al mese. È il secondo paracadute lanciato dal governo regionale sui vuoti del personale sanitario in Sicilia, a 24 ore di distanza dal bando per il reclutamento per 1.500 professionisti stranieri: una norma predisposta ieri, 29 novembre, che sarà inserita nel disegno di legge di stabilità, mentre con decreto dell’assessore alla Salute, Giovanna Volo, saranno determinati i criteri per l’attribuzione del bonus. Sul piatto, venti milioni di euro per il prossimo triennio, per una misura, sottolinea il presidente della Regione Renato Schifani, «temporanea e urgente in attesa che da Roma arrivino i provvedimenti per risolvere strutturalmente un problema che coinvolge tutto il Paese: il numero chiuso nelle facoltà di Medicina». L’obiettivo è ambizioso, ancor di più nell’Isola, dove, secondo il report del dipartimento Pianificazione strategica diretto da Salvatore Iacolino, i camici bianchi in servizio nei cosiddetti presidi di frontiera, tra isole minori, zone montane e periferia, sono 302 a fronte di una pianta organica di 576, con un gap da colmare che ammonta a circa il 50% del fabbisogno. Missine possibile? Per Giuseppe Bonsignore, segretario regionale del Cimo, il sindacato dei medici ospedalieri, «l’incentivo è un primo passo, perché in una situazione di carenza in cui si può scegliere di fatto dove andare a lavorare l’unica possibilità per attrarre medici in zone disagiate passa dal benefit economico. La soluzione non risolverà del tutto il problema ma è pur sempre un inizio». Molto scettico il presidente dell’Associazione zone franche montane Sicilia, Vincenzo Lapunzina, perché «il futuro degli ospedali di primo livello non può essere affrontato alla stregua di un concitato intervento di pronto soccorso. Per esempio, per il rilancio del nosocomio di Petralia Sottana abbiamo proposto al presidente Schifani di disporre un centro di riabilitazione di riferimento regionale nel settore cardiologico, polmonare e neurologico. La scelta di lavorare a Petralia, o in altro posto «sconosciuto», per un professionista dovrebbe essere legata al brand del luogo e non soltanto ad esosi e tassabili emolumenti che hanno scadenza temporale, legati a scelte politiche adottate sull’onda delle proteste. Il presidente Schifani è da apprezzare per quello che sta facendo, ma il suo governo deve puntare alla prospettiva occupazionale e non solo all’aspetto economico, nella consapevolezza che le visionarie scelte strategiche favoriranno l’indotto e la creazione di nuovi posti di lavoro nell’area in cui insistono i presidi». Alla misura plaude, invece, il presidente dell’Ordine dei medici di Palermo, Toti Amato, «perché, anche se l’indennità speciale non scioglie il nodo, riduce almeno il divario tra chi viene chiamato a gettone e chi opera nel pubblico. È un buon primo passo». Opposta la visione di Carlo Cottone, che in frontiera ha lavorato vent’anni, traferendosi da Marsala all’ospedale di Petralia Sottana, dove è stato direttore del pronto soccorso, del reparto di Medicina e, in pandemia, Project manager per la riconversione in Covid hospital, fino a tornare nel Trapanese «perché con la penuria di mezzi e risorse umane del nosocomio madonita lavorare bene era come lottare contro i mulini al vento. Non potevo più fare il Don Chisciotte. Per prestare servizio nelle zone disagiate, difatti, serve solo una cosa: una rete sanitaria che funzioni e sulla quale lo specialista si può appoggiare. L’incentivo economico è uno specchietto per le allodole, e mille euro in più, tra l’altro, sono poca cosa rispetto al fatturato che un professionista può incassare dall’attività ambulatoriale in una grande città». Critico pure il capogruppo M5S all’Ars, Antonio De Luca, non per la misura in sé, ma perché «Schifani si accorge solo ora che in Sicilia esiste pure la sanità pubblica, per la quale nella bozza di Finanziaria non era previsto un solo euro. Meglio tardi che mai».

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