La parola non esiste ancora, ma un giorno chissà, «tarissima» potrebbe pure entrare nei vocabolari di lingua italiana, almeno in quelli venduti nell’Isola, come aggettivo superlativo di un neologismo derivato dall’acronimo Tari. Già, perché in Sicilia, nonostante i passi avanti sul fronte della raccolta differenziata, che in molti comuni è un meccanismo ormai ampiamente rodato, e nonostante le strade di alcune città tornino periodicamente a riempirsi di spazzatura, la tassa locale sui rifiuti è carissima, soprattutto se paragonata al resto d’Italia.
A certificarlo è un report diffuso ieri dall’Osservatorio prezzi del movimento Cittadinanzattiva, che in Sicilia, per l’imposta in questione, nel 2023 registra un costo medio a famiglia pari a 396 euro rispetto ai 320 euro di media tricolore, con un rialzo del 2,6% rispetto al 2022: si tratta della terza quota più alta del Paese dopo quelle rilevate in Campania (416 euro) e Puglia (409) mentre la bolletta più «leggera» si paga nelle Marche. Ma non finisce qui.
Se a livello nazionale la spesa più elevata si registra al Sud, tanto che ben sette capoluoghi di provincia meridionali si piazzano nella top ten dei più cari, a guidare questa triste classifica è la città di Catania, dove una famiglia spende mediamente 594 euro, seguita più a distanza da Messina, in settima posizione con 453 euro. Dopodiché, in scala regionale, troviamo Trapani con 427 euro, Agrigento con 426, Siracusa con 413, Ragusa con 399, Palermo con 314, Enna con 270 e Caltanissetta con 267 euro, mentre in Italia il capoluogo più fortunato è Udine, dove la spesa media è di 181 euro.
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