Domenica 24 Novembre 2024

L'Europa e i migranti: Giorgia Meloni ricuce con Scholz, strappo di Polonia e Ungheria

Un momento dell'incontro tra la premier Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, a Granada (foto di Filippo Attili/Palazzo Chigi)

In bilico tra l’asse franco-tedesco e gli alleati di Visegrad, tra l’europeismo di sistema e la frangia che, su alcuni temi, ha scelto da tempo una via ostinata e contraria rispetto a quella brussellese. L’andalusa Granada per Giorgia Meloni si trasforma in un nuovo palco per ribadire il «primo obiettivo» del governo sulla migrazione: «Combattere i trafficanti». Ma diventa anche una nuova tappa del suo percorso europeo, tra dialogo e linea dura. Al vertice informale dei 27, non a caso, la presidente del Consiglio ha ricucito con il cancelliere Olaf Scholz (i due leader a colloquio nella foto), aprendo un’ulteriore porta alla strategia italiana sul blocco delle partenze. E allo stesso tempo ha assolto Polonia e Ungheria, che con il loro veto hanno reso monca la Dichiarazione di Granada. Il vertice doveva essere innanzitutto quello dell’agenda strategica Ue e del dossier allargamento. Ma a dominare, alla fine, è stato il tema della migrazione. Con la spinta decisiva di Meloni. La premier, di prima mattina, ha visto il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki. Qualche ora dopo, nel Palazzo dei Congressi di Granada, ha avuto luogo l’incontro più atteso, quello con il cancelliere tedesco. Un incontro di 45 minuti che, dopo il lungo scontro su Ong e regolamento delle crisi, si è posto almeno come una tregua tra Roma e Berlino. «Scholz è d’accordo sulla strategia italiana in Tunisia», ha sottolineato Meloni, derubricando le obiezioni tedesche sul rispetto dei diritti dei migranti da parte del governo di Kais Saied. E Scholz, in conferenza stampa, ha confermato il riavvicinamento. «Con Meloni ci siamo compresi, siamo pragmatici, non lavoriamo gli uni contro gli altri», ha spiegato il cancelliere, precisando che sui finanziamenti alle Ong non ha deciso lui ma il Bundestag, cioè il Parlamento. Parole al miele insomma, che non possono però prescindere da un dato: al governo, in Germania, non c’è solo l’Spd. Le posizioni dei Verdi sono ben diverse e di certo lontanissime da quelle italiane. E il clima potrebbe tornare freddo fra qualche settimana, in occasione della revisione del bilancio pluriennale: i tedeschi sono infatti molto scettici sulla proposta di Ursula von der Leyen di mettere 15 miliardi in più sul fronte migrazione. «Concordo sulle nuove risorse se andranno non al capitolo migranti ma all’Africa, ad una partnership complessiva», ha osservato la premier. Di certo, a Granada, l’iniziativa dell’Ue con i Paesi africani sul modello tunisino ha ripreso vigore. È stato il volano che ha unito giovedì attorno allo stesso tavolo Italia, Gran Bretagna, Albania, Olanda, Francia e Commissione Ue a margine del vertice della Comunità politica europea. Ed è, secondo Meloni, una strategia su cui concordano tutti. «Non permetteremo ai contrabbandieri di decidere chi entra nell’Ue», si legge nella dichiarazione di Charles Michel allegata a quella di Granada. Già, perché come era accaduto a giugno, il presidente del Consiglio è tornato ad intervenire dopo che Varsavia e Budapest avevano annunciato il veto al capitolo migrazione. Con la motivazione di volere l’unanimità delle decisioni sul dossier e con toni a dir poco bellicosi. Sui migranti «Polonia e Ungheria sono state legalmente stuprate», è stata la provocazione del premier Viktor Orban. «Il Patto dei migranti lo respingo, la Polonia è e rimarrà sicura sotto il governo del Pis», ha avvertito Morawiecki, ad una settimana dalle elezioni polacche. Il rischio, per Meloni, è che la riottosità dei suoi alleati aumenti con l’avvicinarsi delle Europee. Per ora la leader di FdI si mantiene a metà strada, spiegando di «comprendere» le posizioni di Polonia e Ungheria, che comunque non mettono in pericolo il Patto sulla migrazione. Un Patto sul quale Meloni, al pari dei suoi alleati europei, non vede comunque alcuna svolta. «L’abbiamo votato perché migliora le regole ma non è la nostra priorità», ha puntualizzato la premier. Che non ha certo la stessa fretta dei vertici Ue sull’ok al pacchetto legislativo: «Non importa quanto tempo servirà - ha detto - ma è necessaria una soluzione strutturale». Che è quella di fermare i flussi.    

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