Sebbene sotto traccia, alla Regione Siciliana si è aperta un’altra faglia nella maggioranza. La riforma, che dovrebbe reintrodurre l’elezione diretta delle Province, è a un passo dal naufragare all’Ars. Fratelli d’Italia chiede apertamente di fermare le votazioni in corso in commissione. Mentre il presidente Renato Schifani e la Dc insistono per andare avanti.
Tutto nasce da un avvertimento arrivato da Roma e letto in modo diametralmente opposto da Fratelli d’Italia e dall’asse Forza Italia-Dc. Per varare la riforma che manda in soffitta i liberi consorzi di crocettiana memoria e riporta le lancette al 2014 il governo regionale ha bisogno di una copertura nazionale. Serve, in sintesi, che a Roma si faccia la stessa cosa. E prima che la Sicilia approvi la propria norma. Schifani ha sempre ricevuto in questo senso rassicurazioni da parte del ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli. E per questo motivo la giunta ha approvato il disegno di legge che, dopo una difficile sintesi fra i partiti durata tutta l’estate, ha già iniziato il percorso in commissione all’Ars. Il problema è che nei giorni scorsi il governo nazionale ha fatto sapere che la cancellazione della legge Delrio (quella che Crocetta applicò in Sicilia) non è prevista a breve. Giorgia Meloni deve prima superare lo scoglio della scrittura della Finanziaria, perché dietro il ritardo della legge sulle Province ci sarebbe un problema di copertura della spesa per reintrodurre in tutta Italia presidenti, giunte e consigli.
Sulla base di questa novità, giovedì, il capogruppo di Fratelli d’Italia all’Ars, Giorgio Assenza, ha detto che «non c’è motivo di accelerare il voto della nostra riforma, perché non possiamo approvarla prima di Roma. Rischieremmo che venga impugnata». La posizione di Fratelli d’Italia è che bisogna congelare tutto e riparlarne fra qualche mese. Ma l’assessore regionale agli Enti Locali, il cuffariano Andrea Messina, dà una lettura diametralmente opposta delle notizie arrivate da Roma: «Il governo nazionale sta cercando una sintesi sulla legge Delrio. Ma abbiamo notizie che dovrebbe calendarizzare il provvedimento entro novembre. Se così sarà, noi saremo in grado di rispettare la tempistica che ci siamo dati per arrivare alle elezioni delle nuove Province nella tarda primavera. Per questo motivo, in attesa delle mosse romane, il governo Schifani intende proseguire le votazioni in commissione, a cominciare da quella prevista mercoledì alla Bilancio».
Il problema politico è però proprio legato ai tempi delle elezioni frutto della riforma. Se Roma approvasse la sua riforma, la Meloni vorrebbe accorpare le Europee di giugno con le Provinciali. Un modo per fare una campagna elettorale unica che faccia da traino anche a livello locale. A Palermo i meloniani sposano questa strategia, ma la Dc è contraria, vorrebbe separare le due elezioni proprio per evitare di regalare un vantaggio ai partiti nazionali. Ecco perché l’assessore Messina dice che «c’è tutto il tempo per fissare le nostre elezioni, a patto che ci facciamo trovare pronti, con una nostra legge approvata, quando a Roma verrà cancellata la legge Delrio». Il termine ultimo è il 30 novembre - lo ha ammesso Messina -, se a Roma si prenderanno più tempo la Regione non riuscirà ad organizzare le elezioni per la primavera.
Fratelli d’Italia teme a sua volta che Forza Italia e Dc stiano acquisendo consenso a livello locale promettendo candidature alle Provinciali. E per questo motivo ha interesse a frenare, concentrandosi invece sulle Europee. La frattura creatasi sulle Province arriva dopo che sulle nomine dei manager della sanità pubblica si è già consumato uno strappo. E lo stesso è accaduto sulla riforma dei consorzi di bonifica, bloccata mercoledì in commissione proprio dal fronte Mpa-FdI che ha voluto così mandare un segnale di fastidio all’asse creatosi fra Schifani, Cuffaro e il leghista Luca Sammartino. «Non vorremmo che nel governo si stesse creando una cabina di regia ristretta» ha commentato ancora Assenza.
Nella foto palazzo Comitini, sede dell'ex Provincia di Palermo
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