Una lista che scotta. Non c’è ancora l’elenco delle strutture che il genio militare dovrà trasformare - «nel più breve tempo possibile», ha chiesto la premier Giorgia Meloni - nei nuovi Centri di permanenza per il rimpatrio. Sarà sul tavolo nel giro di due mesi e poi inizieranno i lavori. Le località scelte saranno siti di interesse nazionale per la sicurezza. Ma c’è già chi alza le barricate: il presidente della Toscana, Eugenio Giani, ha già annunciato che non darà l’ok «a nessun Cpr» nella Regione. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, è però deciso a proseguire: «ce lo chiede l’Europa. Ce ne sarà almeno uno per regione». Critiche anche dai sindacati di polizia. Per il Silp Cgil i Centri, con l’allungamento della permanenza a 18 mesi, diventeranno delle «vere e proprie bombe sociali». Mentre il Garante dei detenuti, Marco Palma, avverte: “La durata del trattenimento non è connessa alla effettiva possibilità di rimpatrio. Anche in passato, quando erano previsti 18 mesi, il numero delle persone rimpatriate è rimasto sempre pari a circa il 50%».
La norma approvata ieri dal Consiglio dei ministri, ha sottolineato Piantedosi, «è all’interno di una cornice europea. Con la disponibilità del genio militare puntiamo alla rapida realizzazione delle strutture per rafforzare la capacità di espulsione: è una cosa che ci chiede l’Europa. È previsto dalle normative ed è stata sempre una delle raccomandazioni che l’Europa ha fatto all’Italia». Il ministro ha poi ricordato che i Centri «furono introdotti con la legge Turco-Napolitano, sotto un governo di sinistra».
Il governatore dem Giani non è però disposto a fare sconti: “cosa c’entra - chiede - il Cpr come risposta ai flussi emergenziali? Prima rispondi a come integrarli e accoglierli, poi parli anche di quei casi isolati nei quali poter prevedere la lunghissima procedura di rimpatrio». Il presidente altoatesino Arno Kompatscher ieri ha avuto un colloquio col titolare del Viminale: «mi ha garantito che il Cpr in Alto Adige servirà solo per le esigenze locali, non ci saranno trasferimenti da altre regioni». Il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini è duro. «Di Cpr - spiega - non sappiamo assolutamente nulla. Se qualcuno vuole costruirne ci dica dove lo vuole fare». Sulla stessa linea Luca Zaia (Veneto): “noi non siamo stati contattati». Per il vicepresidente delle Marche Filippo Saltamartini, «non c’è l’esigenza di averli nella nostra regione». Favorevole, invece Massimiliano Fedriga (Friuli Venezia Giulia): «il Cpr, nella mia esperienza di Gradisca di Isonzo, funziona molto bene perché garantisce i rimpatri e la sicurezza dei cittadini».
Le proteste dei territori sono state messe in conto dal Governo. Proprio per questo, come ha fatto sapere Giorgia Meloni, i Centri sorgeranno in luoghi «a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili». Caserme ed i siti militari, già con i muri di cinta, si prestano. Ma non saranno i soli siti considerati. Alla Difesa è in corso una ricognizione delle strutture con le caratteristiche adatte. Anche l’Agenzia del Demanio si sta muovendo. Ci vorrà un paio di mesi per la valutazione e poi il Genio militare potrà partire con i lavori. L’ultima manovra ha stanziato 42,5 milioni di euro in tre anni a questo scopo. Calcolando che quelli attualmente operativi sono 9 (Bari, Brindisi, Caltanissetta, Roma, Palazzo San Gervasio, Trapani, Gradisca, Macomer e Milano), più Torino, chiuso per danneggiamenti, si punta ad individuarne altri dieci circa: 12 le regioni sprovviste (Calabria, Campania, Abruzzo, Molise, Marche, Umbria, Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Valle d’Aosta, Veneto, Trentino Alto Adige). Sono sempre le forze di polizia a garantire l’ordine nei Centri, che ospitano quasi 600 persone complessivamente. Il Silp Cgil stima che per gestire un Cpr ogni giorno serve «un centinaio di operatori. Tutto questo escludendo coloro che gestiscono le pratiche amministrative e i rimpatri. Se apriamo nuovi Centri, dove recuperiamo tutto questo personale?».
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