Il Pd lancia un'estate militante, Schlein dice basta con il logoramento e punta sulle alleanze
Elly Schlein l’ha chiamata «un’estate militante» ed è la mossa per far uscire il Pd dalle secche di una polemica interna che trova sempre motivi per rinnovarsi. Ultimo in ordine di tempo, la partecipazione alla manifestazione del M5s. Le critiche erano in conto, e i toni della manifestazione ci hanno messo sopra il carico. Ma la segretaria non ha fatto passi indietro. Anzi: contro questa destra, ha ribadito, «da soli non si vince». Però per la prima volta è andata a testa bassa coi suoi. «Lo dico a chi la alimenta scientemente dal giorno dopo le primarie, magari sperando di sortire qualche effetto nel giochino al logoramento dei segretari: non funzionerà». Una richiesta di moratoria. Ma nel Pd la tregua ha sempre avuto poco successo. «La dialettica, se leale, anche quando è aspra, non è lesa maestà - le ha risposto il leader di base riformista, Lorenzo Guerini - ma se portata avanti con solidarietà e rispetto, serve innanzitutto a te, Elly». Accusano la segretaria di non avere un’agenda, le rinfacciano di accodarsi alle iniziative degli altri. E allora, alla direzione del partito, Schlein ha messo in fila i punti su cui verrà costruita la mobilitazione nei prossimi mesi: dalla giustizia al lavoro, dal Pnrr, all’ambiente e all’opposizione alla riforma sull’Autonomia. Ci sono già appuntamenti in programma, il primo il 30 giugno, con un’iniziativa per la casa. «Ho ricevuto un mandato - ha detto - ricostruire una identità chiara del partito, che ci renda riconoscibili. Se si tenta di rappresentare tutto e il contrario di tutto si rischia di non rappresentare nessuno e lasciare spazi agli altri». Poi l’avvertimento ai buoni intenditori: «Quando sento che non c’è una linea politica sorrido, di contenuti siamo pieni ma siamo bravi a coprirli con le divisioni interne. Se a qualcuno questa linea non piace lo ammetta e non trovi altre scuse». Il lungo applauso alla fine della relazione non ha portato via le critiche. Anche il presidente Stefano Bonaccini si è tolto qualche sassolino: «Non ho niente in contrario a partecipare alle manifestazioni altrui, ma noi dobbiamo essere la forza trainante, mai metterci a rimorchio». Quel corteo con il M5s ancora pesa. Più delle parole di Beppe Grillo, quelle di Moni Ovadia. E infatti Schlein ha messo a verbale: «Col M5s, sull’Ucraina ci sono distanze enormi», visto che il Pd «è sempre stato chiaro e lineare per la difesa anche con aiuti militari». Però la segretaria Pd continua a lavorare per il dialogo con le forze di opposizione: «Dico con forza ai nostri interlocutori: non tradiamo le aspettative di chi vuol vedere crescere l’alternativa alla destra». Anche se per Matteo Renzi non ha parole buone: «Non può dare lezioni di subalternità, visto che al Nazareno invitò subito Berlusconi per farci un patto». Anche sulla strategia delle alleanze ha trovato il controcanto. Perché i riformisti del Pd considerano la segretaria troppo vicina al M5s: «Non mi concentrerei su un’alleanza preferenziale calata dall’alto» ha detto il senatore Alessandro Alfieri». Ai maldipancia, Schlein ha dedicato la parte finale della relazione. «Vanno bene le discussioni e le critiche, ma serve lealtà sui temi che ci uniscono». E qua il passaggio pop con citazioni di Diodato, Niccolò Fabi, «delle 4850 cose che abbiamo in comune» di Daniele Silvestri. «Siamo qui per restare e restare insieme e fare quello che ci hanno chiesto gli elettori alle primarie», ha detto Schlein come se parlasse a chi ha lasciato il Pd, vedi Enrico Borghi, o a chi potrebbe averlo in mente, Alessio D’Amato. E anche per i sindaci c’è un messaggio: «Siamo disponibili a lavorare a una riforma dell’abuso d’ufficio, ma l’abrogazione sarebbe in contrasto con la normativa europea». L’altra accusa a Schlein è di fare troppo da sola. Di non ascoltare: «Non mi dovrete mai convincere che la segretaria non basta da sola - ha rassicurato lei - l’ho detto io fin dall’inizio. Io credo nel gioco di squadra, nella leadership collettiva. A me tocca provare tenervi insieme nella chiarezza della linea politica uscita dal congresso».