Cadono 115 milioni per i Comuni e 50 per le Province, somme destinate a finanziare il pagamento delle rate dei mutui per i cosiddetti investimenti degli enti locali. Vengono meno i 300 milioni con cui il governo Schifani intendeva erogare maxi contributi alle imprese che assumeranno a tempo indeterminato e si inceppa quindi sulla linea di start il piano per l’occupazione che era il fiore all’occhiello della manovra economia della Regione Siciliana. Spariscono pure 74 milioni che nei piani della giunta servivano a garantire una parte dei compensi per i forestali dell'Isola. Tutto questo porta con sé la maxi impugnativa decisa ieri sera dal Consiglio dei ministri. Un colpo di penna che taglia dalla Finanziaria approvata il 10 febbraio almeno 38 norme interamente finanziate con il Fondo sviluppo e coesione, cioè con contributi nazionali di cui però al momento Palazzo d’Orleans non dispone, perché formalmente manca l’assegnazione ufficiale da parte del governo Meloni. Ecco perché la prima reazione dell’assessore regionale all’Economia, Marco Falcone, che ha appreso la notizia durante una riunione della giunta, è stata quella di non drammatizzare. Ora queste norme valgono come una cambiale firmata dal governo regionale: cadono dalla legge, ma la giunta le trasformerà in atti amministrativi (una delibera) non appena lo Stato assegnerà formalmente queste risorse. E nel frattempo per blindare il patto politico che ha dato vita a questi articoli e singoli commi Falcone farà approvare all’Ars un ordine del giorno che fissa i paletti di questo percorso. «Nel corso delle interlocuzioni intrattenute - ha detto ieri a caldo Falcone -, il ministro della Coesione, Raffaele Fitto ha manifestato al presidente Schifani la propria disponibilità ad assegnare le risorse del Fsc 2021-2027 da destinare al finanziamento degli investimenti, che sono alla base delle disposizioni oggi impugnate. Si tratta di norme coerenti con le linee di intervento del programma». In realtà, una trentina delle norme impugnate erano micro finanziamenti a interventi nei Comuni (spesso quelli più piccoli) che i deputati di ogni partito hanno promosso con emendamenti volanti al momento del voto, il 10 febbraio scorso. È il «prezzo» politico del patto fra governo e opposizione per evitare l’ostruzionismo. Un patto che ha fatto lievitare la manovra dalla decina di articoli partoriti da Palazzo d’Orleans ai 120 finali. È così che sono entrati nella Finanziaria - per citare alcuni esempi - misure dal valore molto diverso: accanto ai 400 mila euro per restaurare la prestigiosa basilica di San Francesco d’Assisi a Palermo, ci sono pure i 1.380 euro per il campo sportivo di Mussomeli, insieme ai 10 milioni per ristrutturare le caserme dei carabinieri spuntano i 10 milioni chiesti dalla lista civica Sud chiama Nord per i piccoli Comuni del comprensorio del Mela. E poi i 500 mila euro per i teatri di pietra e i 30 mila per ristrutturare su richiesta dei grillini l’area ex Edilpomice di Vergine Maria a Palermo. Inciampano nella tagliola del Consiglio dei ministri anche i 200 mila euro per il nuovo parcheggio a Sant’Ambrogio proposti da Gianfranco Micciché e i 500 mila euro al Comune di Campofelice di Roccella per il campo sportivo intitolato a Mandela. Cadono pure decine di norme che avrebbero finanziato campi sportivi in ogni provincia. Il totale di queste norme vale 800 milioni per il solo 2023, ma cresce a un miliardo e 130 milioni se si calcolano i finanziamenti di natura triennale. Da qui nasce la protesta dell’opposizione. Il presidente della commissione Ue dell’Ars, il grillino Luigi Sunseri, ricorda che «il governo Musumeci per errori e ritardi nella programmazione dei fondi Fsc ha fatto perdere alla Sicilia un miliardo. Ora il governo Schifani dimostra di muoversi in una drammatica continuità. Sono anni che la Regione fa norme senza avere la reale copertura finanziaria. Tra l’altro il fondo Fsc va programmato con attenzione, passando dalla giunta alle commissioni dell’Ars, e non in maniera estemporanea e senza razionalità. Altrimenti il risultato è questo». Va raccontata anche la reazione a catena che la decisione del Consiglio dei ministri ha provocato sotto il profilo politico. Ieri sera la notizia è filtrata prima della nota ufficiale di Palazzo Chigi grazie ai contatti che tanti deputati hanno con i ministri di FdI e subito nell’area Meloni - a taccuini chiusi - è stato rilevato che una impugnativa così vasta non si ricordava da anni. Un modo per prendere le distanze dalle scelte della giunta Schifani e per difendere l’azione di Musumeci.