I politici che hanno patteggiato una condanna potranno candidarsi alle prossime elezioni politiche. E’ quanto afferma il Viminale con un parere del Dipartimento per gli Affari Interni e gli Enti locali del 13 marzo scorso. Secondo il Viminale, che si è rivolto anche all’Avvocatura dello Stato, la riforma Cartabia, riducendo gli effetti extrapenali del patteggiamento ha inciso anche sulla incandidabilità prevista dalla legge Severino determinando la «abrogazione tacita» di questa norma. Nel parere si fa presente che l’Avvocatura dello Stato ha rilevato che sia la Corte costituzionale sia la Corte europea dei diritti dell’uomo hanno negato la natura penale delle misure contenute nella legge Severino, escludendone lo scopo punitivo, essendo state introdotte nell’ordinamento per assicurare il buon andamento e la trasparenza della pubblica amministrazione e delle assemblee elettive, arginando il fenomeno dell’infiltrazione criminale. Dunque l’incandidabilità prevista dall’articolo 15 della legge Severino, con l’entrata in vigore della riforma Cartabia, «non produce più i suoi effetti». Ne consegue, si legge nel parere, che tutti i condannati con una sentenza di patteggiamento «non incorrono più in una situazione di incandidabilità, potendo così concorrere alle prossime elezioni». Incontrando i sindaci, poco dopo il suo insediamento, il ministro Nordio aveva aperto alla possibilità di modificare la legge Severino nella parte in cui prevede la sospensione per 18 mesi degli amministratori condannati in primo grado. Ma ora il lavoro del governo in materia di giustizia è concentrato su un pacchetto di riforme che potrebbero essere presentate entro la fine del mese e che vedono tra le priorità gli interventi sull’abuso d’ufficio e il traffico di influenze e sulla disciplina delle intercettazioni e della prescrizione.